ALCOOLTEST

La recensione del film di Stefano Usardi

In un piccolo paese della Valbelluna, in Veneto, trascorre le sue giornate Sergio (Drupi), cantante famoso negli anni Settanta e ormai pressoché dimenticato. Le cose non vanno bene: è incapace di tenersi qualsiasi impiego gli capiti, è in povertà, beve troppo e vive in una barca abbandonata su di un terreno. L’imbarcazione in realtà è della madre di Sofia (Vanda Colecchia), una ragazza che lo vede quasi come una figura paterna e che cerca di aiutarlo come può. Le cose stanno comunque per cambiare, perché Sofia annuncia il suo imminente matrimonio con il fidanzato Luca (Vassilij Gianmaria Mangheras), il quale però sembra vivere questa importante svolta come una forzatura che lo getta nell’angoscia. Mentre vengono apprestati i frettolosi preparativi delle nozze, Sergio è avvicinato da Romina (Sofia Elena Taglioni), la leader di un gruppo musicale locale, i “Las Bandas”, che gli offre la possibilità di unirsi alla formazione e, in tal modo, di tornare ad esibirsi in vista di un concorso canoro. Con così tanti mutamenti in atto, la confusione di Sergio aumenta giorno dopo giorno e, come se non bastasse, si ripresenta da lui il suo vecchio discografico, insistendo perché egli accetti una proposta per rilanciare la sua immagine. Per fare questo, però, Sergio dovrebbe venire meno alla parola data a Romina e deludere le molte persone che gli vogliono bene. Tra i tanti dilemmi, la data del sempre più incerto matrimonio di Sofia si avvicina inesorabile e alcuni piccoli segreti cominciano ad emergere. Il tempo scorre inesorabile tra le strade del paese e bisogna che tutti si prendano le loro responsabilità e facciano le scelte necessarie.   

Scritto e diretto da Stefano Usardi, con premiere al Nuovo Cinema Aquila di Roma il 2 ottobre 2025 e in uscita nelle sale dal 15 ottobre, “Alcooltest” è un film indipendente che fa del suo basso budget un notevole punto di forza. Favola moderna dai toni malinconici e delicati, ondeggia tra una narrazione realista, a tratti quasi cruda, e momenti surreali. Il risultato è un prodotto certamente gradevole, non banale (e anzi sotto molti aspetti originale) e che sa toccare con attenzione alcune corde emozionali, sebbene non sia privo di difetti. Primo fra questi una durata forse eccessiva, ben due ore, in cui si mescolano episodi tirati un po’ per le lunghe a passaggi che invece avrebbero meritato qualche spiegazione in più e che portano bruscamente lo spettatore a dei mutamenti non sempre chiari. Dal punto di vista della logica interna, ne soffre in particolare la seconda parte del film, dopo una prima ora al contrario ben raccontata, per arrivare ad un finale che appare piuttosto confuso e altamente improbabile, pur tenendo presente l’intenzione di Usardi di lasciare alcuni dettagli all’interpretazione del pubblico. I lati positivi di questa piccola opera cinematografica però ci sono, primo fra tutti il protagonista: Drupi è un’autentica sorpresa, a suo agio davanti la macchina da presa e capace di dare una buona profondità umana ad un personaggio disincantato, tenero e triste. Attorno a lui, e al suo carisma, ruota un cast ben assortito, composto di attori bravi nel restituire con pregevole naturalezza una sceneggiatura non artificiosa, fatta di dialoghi semplici e portati avanti il più delle volte con tempi e ritmi che rispecchiano il modo genuino in cui le persone si parlano. A questa si aggiunge una regia che dimostra di avere gusto per le inquadrature, utilizzando al meglio l’obiettivo sia nei campi larghi che nei primi piani, particolarmente efficaci sul volto scolpito di Drupi.

Il cinema indipendente, dunque, è vivo, desideroso di raccontare storie come questa che, pur con qualche ingenuità e imperfezione, hanno cuore e sanno ancora restituire il desiderio di lottare che anima gli ultimi. 

Massimo Brigandì

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