Ci avevano detto che sarebbe comparso a Napoli, poi ha deciso di farsi vedere a Gaza con l’allestimento del Wall Off Hotel. Come nella scorsa primavera, anche oggi Banksy sceglie di colpire nella sua amata Inghilterra, precisamente a Londra. Siamo nei pressi del Barbican Centre, il centro teatrale più grande d’Europa, a nord della lussuosissima City. Il Barbican è attualmente impegnato nella sponsorizzazione della mostra di Jean-Michel Basquiat, pittore primogenito dell’arte di strada e amico di Andy Warhol, che morì a soli 27 anni per un’overdose di eroina. Lo street artist di Bristol decide di prendere la mostra a bersaglio. A pochi giorni dall’inizio dell’esposizione Banksy pubblica l’ultimo attacco d’arte sul suo profilo Instagram (unico social utilizzato dall’autore) con due nuovi stencil.
Il primo murale riprende l’opera più celebre di Basquiat, Boy and Dog in a Johnnypump, con il ragazzo e il cane che vengono ispezionati dalla polizia. Banksy ha corredato la foto con la seguente didascalia: “Ritratto di Basquiat accolto dalla Metropolitan Police – una collaborazione (non ufficiale) con il Basquiat show”. La critica è duplice: la prima riguarda la figura di Basquiat, che se fosse nato oggi sarebbe un ragazzo di colore che imbratta i muri, il target perfetto per un’ispezione di controllo. La seconda riguarda il Barbican Centre che, secondo Banksy, avrebbe messo in piedi uno show, un lunapark. Un’obbiezione meglio esplicitata nel secondo stencil in cui sono raffigurati dei visitatori in fila davanti a una ruota panoramica. Al posto dei seggiolini della panoramica ci sono le corone, cioè uno dei tratti grafici che caratterizzano le opere di Basquiat. La foto del murale è accompagnata dalla dicitura: “Il nuovo grande spettacolo di Basquiat si apre al Barbican, un luogo che di solito è molto interessato a pulire i graffiti dalle pareti”.
Banksy, come tutti gli street artist, è notoriamente allergico alle strutture museali tradizionali. Sottolinea il diverso trattamento che subiscono i graffiti dentro e fuori le mura di un museo e accusa il Barbican di aver “pulito” ogni macchia di bomboletta fuori dalla struttura, mentre all’interno organizza una mostra sul padre di tutti i graffiti. Nella presentazione ufficiale della mostra, Basquiat viene presentato come un artista dalla “creatività esplosiva”, “pionere-prodigio dell’arte di newyorkese degli anni ‘80”. Banksy si chiede se negli anni ’80 il Barbican avesse ugualmente cancellato le parole “gangsterism” e “autoritratto come un tacco” che Basquiat dipingeva sui muri di New York. Il dibattito sulla cancellazione dei graffiti è del resto in pieno corso. Molti affermano che c’è differenza tra uno stencil d’autore, come quelli prodotti da Banksy, e una semplice parolaccia spruzzata sui muri con una bomboletta. La prima è arte, la seconda è vandalismo.
Per gli street artist questa differenza non esiste. L’utilizzo dello spazio urbano non dovrebbe conoscere confini e sottolineano come lo stesso Basquiat, ad esempio, iniziò scrivendo semplici parolacce sui muri. La prima parola artistica di Basquiat fu “Same old shit” (sempre la stessa merda/erba), poi divenuta una tag, cioè una firma: Samo. “Samo save idiots”, Samo salva gli idioti, scriveva Basquiat. È andata a finire che le sue opere furono appese nella Factory di Andy Warhol. La questione però è controversa. A Roma, nello storico quartiere popolare del Quadraro, un certo G.Q. ha preso una bomboletta e coperto il murale dello street artist Divù con la frase: “questo è il nostro quartiere non il vostro museo”. Come a dire che neanche il dipinto più artistico è ammesso. Nel momento in cui gli street artist hanno posto il tema di un diverso utilizzo degli spazi urbani si è sollevato un polverone di domande: cosa fare di questi spazi, chi ha il diritto di utilizzarli e per farne cosa. L’opinione di Banksy è piuttosto chiara.