Der Bunker

TITOLO: Il bunker
TITOLO ORIGINALE: Der Bunker
REGIA: Nikias Chryssos
SCENEGGIATURA: Nikias Chryssos
FOTOGRAFIA: Matthias Reisser
GENERE:
Grottesco
CAST: Pit Bukowski, Daniel Fripan, Oona von Maydell, David Scheller
PAESE: Germania
PRODUZIONE: Kataskop Film, Geissendoerfer Film & Fernsehproduktion KG
ANNO: 2016
DURATA: 85 Min

TRAMA: Un giovane studente cerca quiete e solitudine per concentrarsi su un lavoro importante, ma si ritrova a fare da insegnante a un ragazzino costretto dai genitori all’istruzione domiciliare in una casa isolata.

Il film riesce a catturarti alla prima inquadratura. Si vede una cucina, arredata in perfetto stile anni ’80, con un tavolo in cui sono seduti un uomo e una donna, marito e moglie, e un “bambino” dalle sembianze un po’ adulte. Celebrano, con discorsi di una certa filosofia, prima l’immagine di un uovo fritto nel piatto e, poi, l’arrivo di un loro prossimo ospite, uno studente, a cui hanno affittato una stanza o, sarebbe meglio dire, uno scantinato senza finestra né luce. Lo studente (Pit Bukowski) cammina tra la neve in mezzo al bosco ed è in cerca di pace e tranquillità, perché sta conducendo una importante ricerca sul bosone di Higgs, chiamato anche “la particella di Dio”. Una casa in mezzo al bosco, isolata dalla città, gli sembra il massimo che si possa ottenere.

Il “piccolo” Klaus (Daniel Pripan) dice di avere 8 anni, anche se è palesemente più grande. Altrettanto palesemente ha dei problemi di apprendimento, ma secondo i genitori e il misterioso Heinrich – un essere magnificente che parla attraverso la ferita della gamba della madre – egli è destinato a diventare niente di meno che il Presidente degli Stati Uniti d’America. Peccato che il povero Klaus sia incapace di immagazzinare nella sua memoria anche la più piccola informazione. Sottoposto alle lezioni impartite direttamente dal padre, un grande intellettuale addirittura “diplomato”, Klaus viene sottoposto a punizioni “educative” ma anche a ricompense “edipiche”. Il passaggio chiave del film avviene quando, per ripagare un uso eccessivo di tovaglioli e una piccola razione di cibo supplementare, lo studente sarà costretto a sdebitarsi facendo da precettore al povero Klaus. Cercherà almeno di fargli imparare le capitali del mondo, ma il suo metodo funzionerà solo quando comincerà ad usare con insistenza la bacchetta.

“Der Bunker” è follia straniante, autentica e liberatoria, che ci butta addosso le schizofrenie della famiglia borghese e la violenza dell’educazione imposta dall’alto. Alcune scene restano impresse nella mente, come quando a tarda sera – con trucco e maschera d’ordinanza – il padre legge ad alta voce un libro di barzellette, commentandolo con prosa da fine intellettuale. Una celebrazione del non sense, una commedia nera realizzata con soli quattro attori in un microcosmo che è, allo stesso tempo, surreale e visionario, opprimente e malato. Si avverte il disagio e ci si aspetta la catastrofe da un momento all’altro. L’istruzione che è obbligato a ricevere il piccolo Klaus è sterile e nozionistica, un puro orpello che fa da contraltare alle chiacchiere dei genitori intorno alla necessità e all’importanza di avere una buona cultura per vivere dignitosamente nella società (da cui sono fuori, peraltro). Significativamente, la personalità di Klaus evolverà solo quando il suo nuovo tutore lo introdurrà al gioco e alla spensieratezza che gli erano sempre state negate. Il “bambino” troverà persino la forza di ribellarsi ai genitori.

Autentica “padrona di casa” è la Madre (Oona von Maydell). Sensuale, misteriosa e disagiata nello stesso tempo, è esilarante quando chiede al marito (David Sheller), ormai non più insegnante del figlio, di “concentrarsi su uno dei suoi altri talenti”: ovvero, lavare i pavimenti! E’ sempre lei che “aiuta” l’ospite a trovare il bandolo della matassa alle sue ricerche, con metodi anti-convenzionali eppure efficaci. Lo studente, razionale ma anche stralunato, è il perfetto ingranaggio che si incastra nella follia dei personaggi, apportando anch’esso quella dose di irrazionalità che si respira in tutto il film.

Le maschere degli attori sono perfette, la fotografia minuziosa nel catturare ogni minima espressione facciale. Molto carina anche la colonna sonora. Per concludere: i dialoghi grotteschi, l’umorismo tragicomico e una logica spiazzante e un po’ allucinata accompagna lo spettatore dall’inizio alla fine del lungometraggio. L’opera prima del regista Nikias Chryssos è una piccola perla nel mare delle ripetitive e stantie mega produzioni, siano esse americane o europee. Talento, fantasia, black-humour e cinismo si mescolano sapientemente regalando finalmente un film sempre interessante e mai banale.

 

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