L’uomo che volò oltre se stesso
di e con Giuseppe Manfridi
regia Claudio Boccaccini
installazione scenica Antonella Rebecchini
23 luglio 2024, Teatro Marconi
Info: “Il nostro racconto parte da una novella di Hawthorne, Wakefield, che racconta di un uomo determinato a guardare la propria vita dal di fuori prendendo alloggio nella stanza di una pensione che fronteggia la casa da cui è venuto via. Qui rimane per una ventina d’anni sino al giorno in cui decide di riattraversare la strada e ritornare dalla moglie. Imprevedutamente, questa singolare vicenda ci condurrà alle Olimpiadi messicane del ’68, sin dentro una prodigiosa impresa sportiva, e quindi, a una tragedia dei nostri tempi da molti dimenticata. Una narrazione ad ampio raggio proposta in scena dallo stesso autore”
Torna in teatro lo spettacolo che al suo debutto, quindici anni fa al Teatro Argentina, ottenne un successo formidabile, poi replicato in tutta Italia; Giuseppe Manfridi, prolifico ed arguto scrittore e drammaturgo, porta in scena il suo L’uomo che volò oltre se stesso nell’ambito del Marconi Estate, frizzante rassegna teatrale organizzata dal Teatro Marconi. Ancora una volta, alla regia la sapiente mano di Claudio Boccaccini, mentre le notevoli installazioni sceniche sono di Antonella Rebecchini.
“E’ consigliato portare carta e penna”, recita la locandina; e così abbiamo fatto, prendendo diligentemente nota degli “indizi” disseminati da Manfridi nel racconto, perdendoci nel dedalo labirintico della storia e ritrovandone il bandolo, rapiti dalla narrazione dell’autore e dalle coincidenze mostrataci. Manfridi ha una capacità di scrittura e di esposizione tale da rendere reale l’invisibile, l’impossibile e finanche l’improbabile; così, non ha importanza sapere se davvero Nathaniel Hawthorne (l’autore de La Lettera Scarlatta) abbia scritto di Wakefield, l’uomo che per vent’anni ha vissuto nella casa di fronte alla sua, scomparendo per il mondo e dato per morto dalla moglie, o se è solo una storia nella storia, un espediente per raccontare la complessità della vita e l’importanza delle nostre scelte, piccole o grandi che siano. Manfridi ci parla di “devianza”, quel momento in cui qualcosa cambia e lasciamo la strada maestra per una collaterale, dando vita ad una storia – e una vita – parallela. È un po’ la teoria del multiverso, che il cinema odierno propone in tutte le sue varianti, a partire dall’MCU fino a Nolan; l’autore ce la rende semplice, raccontandoci del poeta Laforgue e del suo Amleto, che scrivendo il proprio testo teatrale per svelare l’omicidio del padre scopre che preferisce essere un drammaturgo che un re, deviando così dal suo destino segnato per iniziarne uno del tutto nuovo ed imprevisto. Manfridi ci fa altri due esempi di devianza: quello dello scrittore Walser, che rapito dalla lettura dimentica la dama che stava corteggiando con un sottile gioco di sguardi, diventando un accanito lettore. Oppure quello di Isaac Singer e del protagonista del suo racconto Kavan, che scrive su commissione un appassionante manoscritto sulla letturatura ebraica… finchè la lettura dello stesso da parte dell’editore non svela che si sta parlando di cavalli.
In tutti questi casi, i protagonisti non sono – come potrebbe sembrare ad occhi superficiali, che legano devianza e follia – impazziti: semplicemente hanno deviato dalla via principale per prenderne una collaterale, convinti però di essere ancora sulla quella dritta, inconsapevoli della svolta effettuata.
In questo salto pindarico di devianze, Manfridi porta lo spettatore ad un altro salto, stavolta fisico: quello da record effettuato nelle Olimpiadi del 1968 da Bob Beamon. Balzo, volo, tuffo: un salto di otto metri e novanta centimetri lungo 7 interminabili secondi. Per l’autore, il salto di Beamon è come il salto fatto da Wakefield, uscito di casa per andare in un’altra casa; per l’atleta, quel salto, quei secondi, sono la sua casa. Otto e novanta sono anche i metri di lunghezza del proscenio del teatro Marconi (a detta del narratore); ma per farli meglio visualizzare allo spettatore, un metro adesivo si srotola lungo il corridoio centrale del teatro, a memoria di un salto che fu – per quel tempo – un record inaspettato, imprevisto. Una devianza. Beamon non aveva mai fatto un salto tale, né mai lo ripeterà; eppure in quel preciso istante, ha deviato dalla sua via principale – quella di atleta “nella media” – per prendere quella della vittoria e del record mondiale. Cos’ha determinato il viraggio? Si dice che la sera prima Beamon sia andato in città ad ubriacarsi di tequila; o forse che sia stato il numero sul suo pettorale; o forse niente di tutto questo è vero ed è solo un racconto scritto e narrato da Giuseppe Manfridi. Ma in fondo, che importa quale sia la verità, se la realtà è migliore?
Michela Aloisi