Il cielo non è un fondale

Di nuovo a Roma questo intenso spettacolo, il cui successo è dovuto anche ai quattro bravissimi e affiatati interpreti

Roma, Teatro India, 7 marzo 2019

IL CIELO NON È UN FONDALE
Di: Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
Con: Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini
Collaborazione al progetto: Francesco Alberici, Monica Demuru
Testo su Jack London: Attilio Scarpellini
Musiche: Lucio Dalla, Mina, Georg Friedrich Händel, Lucio Battisti
La canzone La domenica è di: Giovanni Truppi
Disegno luci: Gianni Staropoli con la collaborazione di Giulia Pastore
Costumi: Metella Raboni

Intro: Il cielo non è un fondale parte da un sogno che è a sua volta generato da una canzone. E’ lì, tra il buio e il corpo della musica che inizia il vero, paradossale lavoro del teatro: sognare gli altri assieme a loro, in uno spazio scenico vuoto che si ingrandisce e si restringe, come l’architettura, a un tempo contratta e smisurata, della nostra mente. In questo luogo sospeso, Antonio racconta di aver sognato Daria nei panni di una barbona e, pur avendola riconosciuta, di essere passato oltre; quel gesto innesca una ritmica di incontri e di misconoscimenti, di cadute e di incidenti, di parole e di canzoni, scandita da due sentimenti contraddittori: la paura di essere noi stessi l’altro, l’escluso, “l’uomo che mentre tutti sono al riparo resta da solo sotto la pioggia” e il desiderio di metterci, per una volta, al suo posto. Ma come conciliare la compassione e un’obesità dell’io che non resiste alla tentazione di sostituire a ogni storia la propria?

Teatro India. Palco sostanzialmente vuoto, spoglio, con la vistosa eccezione di un termosifone piazzato nel mezzo. La scena sembra quasi una enorme scacchiera. E come pedine di una trama sospesa tra quotidianità e sogno vi si muovono inquieti i quattro interpreti de Il cielo non è un fondale. Singolare anche l’appello rivolto al pubblico, proprio all’inizio, da una delle attrici: un invito a chiudere gli occhi in determinati momenti dello spettacolo, per poi riaprirli appena ricevuto il segnale. Ulteriore indizio, questo, della partitura onirica che sposta di continuo l’asse della rappresentazione verso quel surreale quotidiano, in cui finisce per essere inglobato anche un folgorante ritratto della Londra proletaria di inizio Novecento, rievocata attraverso lo sguardo curioso di Jack London.

Lo spessore del testo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini si afferma insomma sin dall’inizio. Non ci sorprende, quindi, che lo spettacolo stia girando con successo già da qualche anno, continuando a suscitare reazioni emotive forti. Del resto si parte dal racconto di un sogno piuttosto inquietante per esplorare non soltanto le relazioni tra i quattro personaggi in scena, ma anche la loro identità più segreta, ovvero la problematica relazione che ciascuno di loro intrattiene con la natura profondamente borghese delle proprie aspirazioni, delle proprie paure, dei propri sensi di colpa. Il timore di veder messa a repentaglio una posizione sociale consolidata, innanzitutto, da porre sull’altro piatto della bilancia rispetto alla volontà, non scevra di piccole ipocrisie e ripensamenti, di sfruttare tale posizione per offrire conforto e qualche piccolo aiuto ai meno fortunati: in questo cortocircuito emozionale (e volendo persino ideologico), espresso attraverso modalità di pensiero quanto mai attuali, ristagnano però quei pietosi compromessi che rivelano l’intima debolezza dei protagonisti, un orizzonte di precarietà esistenziale cui si rivolge qui uno sguardo alternativamente beffardo e incline alla pietas.
Del resto tanto nei frammenti di vita riesumati in forma di ricordo che nei segmenti prettamente onirici e in certi surreali apologhi, su tutti lo splendido monologo di Daria Deflorian sui termosifoni, a prevalere è proprio quel senso di inadeguatezza smaccatamente borghese che ci ha fatto persino tornare alla memoria la logica perdente dell’entschuldigen sie, dello scusarsi di continuo e preventivamente, rintracciabile in certe pellicole di Michael Haneke. Con particolare riferimento alla tragicomica ironia dei dialoghi tra padroni di casa e sconosciuti alla porta, nel così seminale Funny Games.

Tornando a Il cielo non è un fondale, lo spettacolo cui abbiamo assistito al Teatro India ci ha conquistato sia per la sottigliezza del testo che per la confidenza con cui riescono a portarlo in scena, esaltandone tanto gli intermezzi umoristici che le più articolate domande esistenziali, i quattro affiatatissimi interpreti: Francesco Alberici, Monica Demuru e Antonio Tagliarini, oltre alla più volte menzionata Daria Deflorian. Una ricetta consolidata, che in virtù dell’eclettismo degli attori coinvolti si avvale di volta in volta del canto (altro elemento di rilievo nella costruzione diegetica dello spettacolo), di folgoranti ironie, di pause rivelatrici e di studiate interazioni con la già descritta nudità dello spazio scenico, per produrre senso senza appesantire mai i tempi della rappresentazione.

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