È possibile concentrare in un’ora di spettacolo un dramma ispirato a un’opera lirica, senza ridurne l’intensità e il coinvolgimento emotivo? A quanto pare, sì! Anzi, tre volte sì: dopo Violè (La Traviata) e Floria (Tosca), Vittorio Aliotta ha proposto un apprezzato adattamento in forma teatrale del Rigoletto, una delle pagine più belle tra quelle nate dal genio di Giuseppe Verdi.
Nella trasposizione ai giorni nostri, ecco che il Duca si trasforma nell’On. Mantova, tanto giovane quanto spregiudicato sottosegretario, donnaiolo fino al cinismo, pienamente incarnato dal bravo Antonio Buonocunto. Il giullare gobbo e deforme, è invece un Avvocato claudicante al servizio del Deputato; Rigoletto è un uomo spietato quando si muove protetto dal potere, ma al tempo stesso si trasforma in un padre dapprima premuroso e infine fragile e disperato, nell’applaudita interpretazione di Gabriele Zedde. A Elena Pelliccioni va invece il merito di aver dato veridicità, forma, grazia e cuore a Gilda, un’ingenua studentessa infidamente sedotta dal corteggiamento del Sottosegretario; la sua ostinata convinzione nell’amore dell’Onorevole, fintosi con lei un malmesso studente, la porterà al tragico epilogo del capolavoro Verdiano. Di rilievo anche l’esperta recitazione di Laura Giannotta, una navigata Madeleine non più “in servizio”, divenuta ora l’abile manager di un’agenzia di escort, abitualmente frequentata dal Deputato. Doverosa citazione per il più che versatile Maurizio Bianchi, decisamente credibile sia nel ruolo dell’autista Mario, drammaticamente contrapposto all’Avvocato in cerca della figlia, e sia quando interpreta “Beretta”, il rivisitato personaggio del sicario Sparafucile.
Completa il cast l’affiatata coppia in cabina di regia: Licia Pacella, svenevole fidanzata di un portaborse di Ceprano, prima conquista dell’Onorevole, nonché preziosa aiuto regista. Infine Vittorio Aliotta, che oltre a curare testi, adattamento e regia, si è riservato il drammatico intervento nella veste di “Monteroni”, padre deriso da Rigoletto, sul quale lancerà la sua “maledizione” (già originario sottotitolo dell’Opera).
Complessivamente, intervallare e sottolineare scene con le note delle più famose arie, da Questa o quella a Cortigiani, da Vendetta, tremenda vendetta fino a La donna è mobile, ha reso piacevolmente godibile l’intero spettacolo.
La messa in scena ha mantenuto, in una cornice minimale ma efficace, tutta la vibrante drammaticità della vicenda, di cui è stato fedelmente rappresentato, seppur trasposto ai giorni nostri, il cuore dell’intreccio narrativo. Ben dosati oltre ai supporti audio, anche i cambi luce, sempre ben gestiti in consolle da Camillo Basso Amolat. Allineato al contesto, elegante e centrato, il trucco di Pina Dori.
In conclusione, dopo Violé e Floria, chiosammo con un “Non c’è due senza tre! E ora? Cosa ci riserverà in futuro la passione melomane di Vittorio Aliotta?
Non si può far altro che affidare alla stagione 2025-2026 il compito di rispondere.
Alessandro Tozzi