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Con un cuore come il mio,
da quale porta posso entrare?
Di quale tesoro posso aprire lo scrigno?
Che cosa posso scrivere che abbia valore per la gente?
Che parole mettere insieme
che siano utili al mondo?
Nezami, da “Koshrow e Shirin”
Giovanni Calcagno pare averci preso gusto. La sua missione, attualmente, sembrerebbe essere quella di far rivivere perle di saggezza del mondo antico, in contesti scenici che trasudano poi Storia da ogni poro, da ogni mattonella. Facendocene così scoprire una per taluni insospettabile attualità. Lo avevamo lasciato idealmente nella Sala Ottagona della Domus Aurea, dove lo scorso 6 ottobre ci aveva deliziato col suo Polifemo Innamorato. E lo abbiamo ritrovato più di recente, la sera del 26 novembre, in un luogo parimenti ricco di fascino e di suggestioni antiche, il TeatroBasilica in zona San Giovanni. Vale quasi la pena di far parlare per il primo “il palco,” stavolta, con le stesse parole usate da chi lo gestisce e ama presentarlo così, sul web: “Basilica come spazio sacro del mondo cristiano. Basilica come centro economico e politico della Roma antica. Basilica come emblema regale del mondo ellenistico. TeatroBasilica come luogo di accoglienza culturale nella Roma di oggi. Un contenitore metafisico al centro di una città viscerale. Uno spazio per procreare una nuova spontaneità astratta. Un luogo dove l’attualità teatrale possa esplodere mostrando la sua struttura primaria.“
In questo crocevia naturale di culture differenti e sinestesie in fieri, Giovanni Calcagno e i suoi sodali hanno voluto portare un altro progetto culturale di ampio respiro, che affonda le sue radici nelle tradizioni del Vicino Oriente: Koshrow e Shirin. Lo spettacolo in questione è stato peraltro messo in scena al termine di un’intensa giornata, che ha visto l’energico e raffinato interprete siciliano impegnato anche, assieme a Daniele Meneghini (traduttrice dell’opera) e ai musicisti Piero Grassini e Tito Rinesi, in un workshop intitolato Narrazione e musica nell’antica Persia. Validissima introduzione, questa, a ciò cui si sarebbe successivamente assistito.
Sì, perché il testo sui cui si è lavorato per tale rappresentazione è proprio Koshrow e Shirin, il più famoso poema della letteratura persiana classica. Ne abbiamo appreso di più grazie allo spettacolo stesso e successivamente spulciando una riduzione acquistabile direttamente in teatro: Composta dal grande poeta Nezami (1141 – 1209), quest’opera narra la leggendaria storia di Koshrow, ultimo grande sovrano della dinastia sasanide, e di Shirin, principessa armena di bellezza straordinaria e di emblematica levatura morale.
Ambientata nella Persia preislamica, la vicenda si intreccia con eventi storici, tracciando un percorso in cui l’Amore si fa mezzo di maturazione e crescita verso una forma più elevata e integra di umanità.
Interrompiamo la descrizione dell’opera, per elogiare invece la felice alchimia creatasi in scena tra storyteller e musici. Costoro, latori di strumenti etnici e sonorità antiche, tessono l’atmosfera. In essa Giovanni Calcagno si muove poi da eclettico affabulatore, come un bardo attento a modulare la voce in modo da resuscitare una miriade di personaggi, un’incredibile varietà di toni. Polifonia fatta uomo. E perfettamente in grado, così, di accentuare all’occorrenza il lirismo, in altri momenti l’epica guerriera, senza rinunciare neanche a qualche divertita inflessione umoristica, allorché il lutto per un altro personaggio emblematico, lo sfortunato e titanico costruttore Fahrad, cede il passo per la protagonista a nuove tentazioni amorose. Mescolando saggiamente cultura alta e intrattenimento popolare, specifici riferimenti allo Zoroastrismo (il Tempio del Fuoco) e altri valori atemporali, approfondimenti storiografici e sentimento, al punto di creare una miscela di racconti e di sonorità ammaliatrici da cui è impossibile, per gli spettatori, non farsi calamitare, restandone poi profondamente avvinti.