Titolo: La bellezza Antimoderna
Autore: Riccardo Rosati
Presentazione: di Claudio Mutti
Postfazione: di Annarita Mavelli
Editore: Edizioni Solfanelli
Pagine: 176
Costo: € 14,00
Pubblicazione: 2017
Intro: Nella nostra società la Bellezza va cancellata, giacché presuppone qualità, impegno. Per non parlare del fatto che i nostri musei sono un esempio incontestabile del primato italiano in ogni settore, o quasi, della conoscenza. Inoltre, sembra sempre di più che una certa mentalità incoraggi a non far conoscere l’Italia e i suoi tanti tesori; sia quelli meno noti, che quelli celebri, a partire dai suoi musei. In primis, nel negare la netta superiorità dei Musei Vaticani sul Louvre, per proseguire col divulgare il messaggio corruttore che questi non siano Italia, che non facciano quindi parte della nostra storia e ricchezza.
Con questo libro, si intende difendere la Bellezza, la quale per essere vera non può che essere antimoderna, perciò in contrasto col nichilismo spirituale tipico della era attuale, nonché rettificare le solite generalizzazioni giornalistiche di chi commenta senza avere una adeguata competenza specifica. Nel fornire vari spunti di riflessione sui musei e i Beni Culturali, ci si augura che il lettore si persuada definitivamente di vivere nel più bel Paese del mondo, e non a mo’ di slogan, come avviene puntualmente nel dibattito politico-culturale italiano.
“Haec est Italia diis sacra”
Plinio il Vecchio, “Naturalis Historia”
A due anni di distanza da un altro saggio di notevole impatto come Museologia e Tradizione (sempre edito da Solfanelli), Riccardo Rosati punta nuovamente al bersaglio grosso, confermandosi penna eclettica ma al contempo sempre coerente con le proprie idee, coi propri valori, coi propri punti fermi, tra i quali ve n’è uno che rende le ricerche da lui effettuate in questi anni particolarmente ammirevoli e degne di nota: ci riferiamo, nello specifico, alla strenua difesa dell’importanza del patrimonio artistico e culturale italiano, un’importanza troppo spesso sminuita da presunti intellettuali asserviti a quella stessa classe politica che, specie negli ultimi tempi, sta facendo davvero di tutto per sminuire e in certi casi persino compromettere (attraverso decisioni deleterie e sconsiderate) la grandezza di tale patrimonio.
Così dicendo, abbiamo voluto chiarire subito il nocciolo del discorso. Perché con La bellezza antimoderna il Nostro ha in parte ripreso la formula del precedente libro, ampliando però lo spettro della ricerca in misura esponenziale. Da un lato il nuovo testo ha in realtà preso forma, come avvenne per l’altra pubblicazione, a partire da saggi e articoli di approfondimento già pubblicati su una testata particolarmente sensibile nei confronti di certe problematiche, come il Borghese ; una duratura collaborazione, questa, cui si sono aggiunte nel corso del tempo quelle con Barbadillo, Giornale OFF, Quarto Potere, Totalità, altri spazi di riflessione compatibili con la serietà della denuncia e con non banali approcci critici. Le fonti originarie dei singoli contributi abbiamo voluto ricordarle non per piaggeria, ma precipuamente per rendere l’idea della mole e della qualità di un lavoro che è diventato, per Rosati, una nobile crociata in difesa di quel senso del Bello e della memoria storica messo sempre più a rischio dalle scriteriate politiche poste in atto dagli ultimi governi. E qui a un certo Franceschini saranno fischiate senz’altro le orecchie, poiché il Ministro, approfittando spesso di un’esagerata e sospetta benevolenza da parte dei media, sta ridisegnando gli aspetti organizzativi, amministrativi e finanche “ideologici” dei Beni Culturali, indirizzandoli verso pratiche quantomeno pericolose, sia per la discutibilissima strada intrapresa che per le avvilenti ricadute pratiche su determinati sistemi museali presi di mira. Del resto Riccardo Rosati non è certo uno che si fa troppi problemi, quando si tratta di tirare fuori nomi e cognomi di coloro che, a suo avviso (ma adducendo sempre prove molto circostanziate), non stanno facendo gli interessi della collettività ma quelli di qualche lobby potente e spregiudicata.
Ci pensa poi uno studioso del calibro di Claudio Mutti, nella assai significativa Presentazione, a chiarire quali siano le origini storiche e le finalità del Museo, in netta contrapposizione alle forme di fruizione distorte, nonché alla mercificazione senza ritegno, verso cui rischia ora di indirizzarsi tale eccelso luogo di testimonianza della Bellezza nelle varie epoche e, conseguentemente, di formazione della coscienza. Da lì emergono in un certo senso le basi teoriche di questo accuratissimo studio. Sì, perché poi La bellezza antimoderna si sviluppa riprendendo quello spirito tassonomico già ravvisato in altri testi di Rosati (“Museologia”, “I miei musei”, “Attualità dei beni culturali” e “Articoli su mostre” sono le diverse sezioni in cui si articola il libro), ma facendo dialogare con una tensione dialettica ancora più forte che in passato i singoli contenuti con alcune domande di fondo, che non possono lasciare indifferenti, trattandosi del futuro dell’immenso patrimonio culturale italiano.
Il Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” a Trieste. Il primato dei Musei Vaticani. Il Vittoriale degli Italiani. Le notevolissime e spesso poco conosciute collezioni orientali disseminate nel nostro paese. Il Museo Civico d’Arte Siamese “Stefano Cardu” in Sardegna. Le mostre tese a ricordare figure straordinarie ma talvolta ostracizzate dalla più ottusa e conformista critica “gauchiste”, come nel caso di Mario Sironi. E poi i Futuristi, la mostra dedicata a Toulouse- Lautrec, veri e propri crimini culturali come la recente chiusura dell’IsIAO… sono davvero tanti i protagonisti di questo sfaccettatissimo racconto!
Nel libro Rosati finisce per affrescare entrambi gli aspetti della medaglia. Ci parla infatti di quei Grandi Italiani che hanno fatto la storia dell’arte e della letteratura, di quelli che ci hanno lasciato impareggiabili case-museo, di quelli che coi loro viaggi e con la loro sete di cultura ci hanno spalancato le porte di Siam, Cina e Giappone. Ma ci parla anche di collezioni dal valore inestimabile lasciate chiuse nei magazzini. Ci parla di importanti poli museali accorpati, smembrati o condannati comunque all’oblio. Ci parla delle assurde preclusioni ideologiche che hanno spinto certi finti intellettuali, più simili a sinistri burocrati di partito, ad affossare il grande contributo dato dall’Italia alla cultura mondiale nei primi del Novecento. Ci parla, in sostanza, dei piccoli uomini di quell’Italia prima berlusconiana e poi renziana che sembrano remare contro gli interessi del proprio paese, in virtù di un’ignoranza sempre più diffusa, oppure di interessi troppo meschini per essere enunciati apertamente. E se il basso profilo culturale di tale operazione può poi vantare un tetro rispecchiamento nei più recenti interventi legislativi in materia, ci sembra giusto chiudere la nostra breve disamina citando anche la Postfazione di Annarita Mavelli, che proprio sugli più sconcertanti aspetti giuridici di questo quadro sconcertante e vergognoso ha il merito di fare chiarezza.