MISERIA E NOBILTÀ

Pietro Romano ha riadattato un classico del teatro napoletano con quella verve in grado di conquistare non solo il pubblico, ma anche maestri come Enzo Garinei

Roma, Teatro delle Muse, 9 aprile 2017
PIETRO ROMANO in MISERIA E NOBILTÀ

locandinaRegia di: Pietro Romano
Con (in ordine alfabetico): Edoardo Camponeschi, Valentino Fanelli, Giorgio Giurdanella, Francesca La Scala, Eleonora Manzi, Beatrice Proietti, Mirko Susanna, Marina Vitolo
e con: Marco Todisco
Aiuto regia / Direzione di scena / Segretaria di produzione: Barbara Lauretta
Musiche: Simone Zucca
Testo canzone / Organizzazione e Ufficio Promozioni: Loredana Corrao
Scene: Maurizio Manzi
Costumi: Simona Sava
Assistente alla regia: Edoardo Camponeschi
Trucco: Isabella Cavallaro e Viviana De Franco
Audio e luci: Fabio Massimo Forzato
Ufficio stampa: Sara Battelli

Date: dal 29 marzo al 9 aprile dal mercoledì al sabato alle 21; sabato 8 aprile anche ore 17,30, domenica ore 17,30.

INTRO: La storia rimane forte della comicità e del pregio della stesura iniziale, lasciando che la giostra continui a volteggiare tra i caratteri umani, le classi sociali e le introspezioni di ogni sorta.
La commedia risulta esilarante e intrisa da una comicità elegante, e l’umile intelligenza artistica di Romano si rivolge sera per sera, direttamente al genio di Scarpetta con il saluto: “Maestro, chapeau!”.
Nella sua carriera, ormai trentennale, Pietro Romano ha messo in scena decine di spettacoli, spaziando dal classico al moderno, dalla prosa al musical, dalla lingua al vernacolo o meglio, ai vari vernacoli da lui posseduti intimamente come se ognuno fosse il proprio.
“Miseria e Nobiltà”, pur nel rispetto dell’originalità dell’opera di Scarpetta, risulta un successo che unisce l’umorismo della gestualità napoletana al sarcasmo del dialetto romanesco.

Pietro Romano - Miseria e Nobiltà 01L’alfa e l’omega. Sarebbe buona regola assistere a uno spettacolo teatrale presenziando direttamente alla prima, qualora se ne voglia poi scrivere, ma i casi della vita hanno invece voluto che noialtri ci potessimo affacciare al Teatro delle Muse soltanto per l’ultimo giorno di repliche, il 9 aprile scorso. Ebbene, pur arrivando in chiusura abbiamo avuto comunque qualche gradita sorpresa. E non soltanto per la verve trascinante e genuina che la compagnia allestita da Pietro Romano aveva saputo mantenere intatta, nel mettere in scena una così peculiare versione di Miseria e nobiltà. Ma anche per certi moti di approvazione venuti proprio dal pubblico in sala. Un pubblico, e qui viene il bello, che poteva vantare alcune presenze illustri, tra cui un importante regista cinematografico come Leone Pompucci (citato dal palco a rappresentazione conclusa) e, soprattutto, Enzo Garinei. Anche un così navigato uomo di spettacolo, questo Maestro del teatro leggero, del cinema e del doppiaggio, è stato chiamato in causa da Pietro Romano nei ringraziamenti finali, ma lui non si è limitato a confermare con un sorriso di essersi divertito molto. Ha invece preso la parola dalla platea. E trattandosi di un artista che ha contribuito a fare la storia della commedia in Italia, vale la pena di riportare con esattezza le sue affermazioni: “Grazie a voi, per averci dato un esempio di grande professionalità. Siete una bellissima, straordinaria compagnia. Questo signore (Pietro Romano, n.d.r.), lo dico io che ho avuto la fortuna di lavorare assieme a dei grandissimi attori, tra cui uno che gli assomiglia tantissimo e che era il Principe Antonio De Curtis, Totò, è di quella classe lì

Pietro Romano - Miseria e Nobiltà 04Ubi maior minor cessat. Tralasciando pure la commozione fatta trasparire dallo stesso Pietro Romano, nel sentire ciò, un accostamento del genere basterebbe forse a zittire la voce del critico, sostituendosi così a una tradizionale recensione. Ma qualche nota a margine vogliamo proporla anche noi. Quantomeno per non abdicare al ruolo…
E così, pur riconoscendo al mattatore Pietro Romano tutta la bravura di cui altri hanno detto, focalizzata in un istrionismo le cui componenti verbali ben si sposano con certe impagabili espressioni facciali, è la confezione stessa dello spettacolo ad averci colpito e divertito.
Ci chiedevamo, ancora prima che la rappresentazione iniziasse: sapranno gli interpreti trasferire la così sorniona ironia partenopea dalla sua collocazione originaria, Napoli, al differente contesto romano (e romanesco)? L’operazione a noi è parsa pienamente riuscita. Gli interventi linguistici sul testo rimandano consapevolmente al colorito cinismo di una certa romanità. E anche la conflittualità sociale sottesa (fino ad essere qui esorcizzata, con un chiaro gusto carnascialesco) al classico gioco degli equivoci è stata filtrata bene, in un simile adattamento, trovandosi a poggiare con naturalezza sul coriaceo spirito trasteverino e sulle uscite più pungenti, sarcastiche, di simili personaggi. Buona anche l’interazione comica tra attori giovani e altri più esperti, maturi. Ma del valido lavoro svolto da Pietro Romano coi suoi compagni d’avventura è anche un altro aspetto ad averci colpito favorevolmente: ossia quel mix di classicità e di sketch dal taglio più rapido, moderno, che porta poi a concepire momenti di una certa surrealtà, specie quando è l’atavico stimolo della fame a condizionare le scelte e le azioni dei personaggi.

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