La musica è profondamente intrisa nel tuo essere. Quando hai “scoperto” che questa passione si potesse trasformare in una professione?
L’ho scoperto dopo gli studi del conservatorio. In realtà sin da giovane ho capito di avere una grandissima passione per la musica, infatti ho composto i miei primi brani in tenera età, al pianoforte, senza sapere esattamente cosa la musica fosse dal punto di vista tecnico.
A 19 anni, dopo gli studi classici e parallelamente agli studi universitari, ho deciso di intraprendere gli studi di composizione.
Ho affrontato un lunghissimo periodo di tirocinio che mi ha portato naturalmente a una conoscenza più approfondita della musica.
Ma è stato necessario un ulteriore step in avanti, realizzato attraverso lo studio individuale.
Dopo aver appreso le nozioni sulla musica passata, sulle modalità concordi con quella che è definita la teoria musicale, ho dovuto distaccarmi anche da questa sfera di conoscenze ed ho intrapreso un viaggio lunghissimo. Un viaggio che continua ancora adesso, dentro me stesso.
Quindi ciò corrisponde, in linea di massima, con la scelta che io ed Alessia, mia moglie, abbiamo affrontato nell’andare a vivere in un altro paese. Questo mi ha permesso di mettermi in contatto con un variegato repertorio e un background di informazioni molto vasto.
Contemporaneamente ho continuato a studiare le opere dei grandi classici, di cui sono profondamente imbevuto.
La ricerca dentro se stessi è fondamentale. Il musicista non può definirsi tale se non è prima di tutto uomo.
Forse questo capita con qualsiasi altra forma d’arte. Occorre prima forgiarsi dal punto di vista umano e spirituale, per poi far trapelare noi stessi attraverso l’opera.
La figura di un musicista deve andare di pari passi con quella dell’uomo. Mi sono reso conto di esser approdato a una conoscenza profonda del mestiere, in tempi relativamente tardi, rispetto all’inizio degli studi. Sono ormai trascorsi diversi anni da allora, naturalmente.
Questo percorso continua, poiché la musica è un mare infinito e straordinario, dove scoprire sempre possibilità nuove.
Il tuo nome non può passare inosservato agli intenditori e appassionati di musica e di cinema. Un destino forse già scritto, ma che sicuramente stai modellando sulla tua persona. Morricone è così divenuto un “marchio” di qualità e creatività artistica musicale. Come ci si sente?
Mi sento, anzi, io sono Andrea, sono me stesso.
Sono un individuo che esprime la propria unicità, attraverso la musica, che è la strada che ho scelto.
Non sono assolutamente “occupato” dal pensiero di questa relazione con il cognome di mio padre, con la tradizione di famiglia. Naturalmente ciò mi lusinga. Essere musicista mi lancia in un percorso che è appunto quello della tradizione.
Verso mio padre nutro un sentimento di grandissimo amore. Quando ero più giovane e andavo al conservatorio, ho trascorso moltissimo tempo assieme a lui.
E’ una persona con cui ho voluto passare il mio tempo, con la quale condividere degli hobby, come ad esempio quello per gli scacchi (anche mio fratello Giovanni ne è poi diventato un appassionato).
Resta comunque un rapporto facile da immaginare, come quello che vi può essere tra un padre e un figlio.
Nel campo musicale, c’è in me anche l’orgoglio di far parte di una tradizione, ma ciò passa in secondo piano, poichè sono “occupato” dal punto di vista intellettuale, dalle problematiche di fare musica oggi, piuttosto di preoccuparmi di esser parte di un filone “morriconiano”.
Naturalmente, la storia della musica ci propone numerosi casi di dinastie musicali familiari, come quelle degli Strauss e dei Bach.
Christopher Bach è stato un grandissimo compositore, ma poco noto rispetto a Sebastian Bach. Strauss figlio invece, supera brillantemente la fama del padre. “Danubio Blu”, l’arcinoto valzer, è un capolavoro di Strauss figlio.
Sono dunque sereno rispetto questa circostanza.
Sono oltre 25 le colonne sonore realizzate per progetti cinematografici italiani e internazionali fra i quali cito Capturing the Friedmans di Andrew Jarecki, nominato all’Oscar 2004 per Miglior Documentario e vincitore del Sundance Festival nel 2003, Liberty Heights di Barry Levinson, Here on Earth, Due Amici, Raul, Funny Money, L’Inchiesta e i documentari Brando , Slum Symphony e Huxley on Huxley. C’è qualche aneddoto in particolare o emozione, legata ad una di questa colonne sonore, che vuoi svelare?
Tutti i lavori che ho svolto, racchiudono dei momenti di intensità, che porto nella memoria. Questi lavori mi hanno permesso di viaggiare anche per il mondo. Questo è un bellissimo aspetto del mio lavoro.
Ho così potuto conoscere musicisti di tutto il mondo e di tutte le provenienze. E’ un arricchimento enorme, lo considero un dono straordinario.
Sono privilegiato dall’aver avuto la possibilità di lavorare con musicisti così straordinari e di così diversi ambiti culturali.
Naturalmente i lavori sono tutti diversi, ciascuno dall’altro.
Potrei comunque raccontare il lavoro svolto con Giuliano Montaldo, sottolineando così il nostro sodalizio artistico. Giuliano è un regista grandioso, di grandissima sensibilità e umanità. Il nostro è stato un lavoro molto intenso, proteso alla ricerca del meglio per la riuscita del film “L’Industriale”.
Giuliano ha provato tutte le mie musiche, attraverso un percorso di musica e immagini. Ho scritto dei temi in America, altri anche qui a Roma, in sala di montaggio. Per la scena finale del film “L’Industriale”, poichè il film è centrato sulla figura di questo individuo a capo di una azienda in crisi, Giuliano mi lasciato libero di esprimermi, pensando alla tragedia umana di questo personaggio.
Ciò mi ha riempito di gioia, poichè da ciò è nato il brano “La crisi”; brano di un certo impegno compositivo.
“La crisi” contiene vari temi che sono già presenti all’interno della colonna sonora, ma sono elaborati affinchè convoglino in un brano di 4 minuti per orchestra sinfonica.
Preferisci comporre o dirigere l’orchestra?
Sono quasi la stessa cosa. Quando dirigo, compongo il suono all’istante, forgiandolo attraverso i musicisti.
Viceversa, quando scrivo la partitura, forgiando il suono, ho già in mente la fase esecutiva.
Sono due situazioni tra loro molto correlate. Davanti a una partitura, un piccolo dettaglio esecutivo, diventa importantissimo.
Uno staccato, un’articolazione di uno strumento o un colpo d’arco, sono dettagli importantissimi, che un compositore non può misconoscere. Questo crea la differenza dei percorsi compositivi.
Capita durante l’esecuzione, mentre dirigi, di magari improvvisare qualcosa che non era scritto sullo spartito?
Il rapporto con l’orchestra lo si crea durante la fase esecutiva.
Quando invece suono il pianoforte (sono anche pianista) sono solo, quindi suono attraverso i tasti del pianoforte l’orchestra, spezzando la partitura.
Conoscendo le mie musiche, vario sempre le mie esecuzioni, quindi in un certo senso, “improvviso”.
Con l’orchestra il discorso è molto diverso, poichè l’orchestra legge la musica e lo spartito, attenendosi a ciò che il direttore elabora durante le prove. Ma ciò non basta per far musica. Credo molto nel concetto di performance. Al di là dell’estetica che può essere perseguita durante le prove su di un brano (per estetica intendo la cura dei dettagli, le idee che può avere un direttore, etc…) il momento della performance davanti al pubblico, il quale è anche attore del concerto, è fondamentale.
Questo non è un concetto nuovo, ma è di derivazione classica. Ciò succedeva già nella commedia greca, ad esempio, ove il popolo (seppur in un altro contesto) prendeva parte in qualche modo allo spettacolo, assieme agli attori in scena.
E’ molto importante il momento dell’esecuzione per creare questa integrazione tra il fruitore e chi, appunto, svolge l’azione. Inoltre, è proprio in quel momento, come teorizzato da diversi filosofi dell’ottocento, uno su tutti Nietzsche nel suo trattato “La nascita della tragedia”, che si raggiunge il climax di un lunghissimo percorso, dove si mescola il concetto di bello con quello dionisiaco.
Credo nella preparazione durante le prove e nelle compagini orchestrali, ma credo anche che durante il concerto, debba fuoriuscire qualcosa che non si è apertamente detto durante le prove, ma che proviene dall’integrazione tra chi dirige e chi suona.
Ogni esecuzione non può essere uguale all’altra. Durante il concerto accade qualcosa di particolare che non si può esprimere a parole. Bisogna solo ascoltare e fare musica.
Il rapporto tra chi dirige e chi suona è profondissimo. E’ un rapporto legato allo sguardo, all’immediatezza, all’umanità di ogni singolo musicista e anche quella del direttore, in relazione alla sua la gestualità. Ciò è importantissimo, anche se non sembra.
Tu hai dei gesti particolari mentre dirigi?
Si, dipende. Sono gesti sempre in funzione del suono che cerco di ottenere.
Nel concerto che ho fatto qui a Roma il 3 Aprile, per esempio, dove sono stati presenti pochi archi, ho faticato molto nel dirigere, senza risparmiarmi forze. Ho dovuto tenere l’iniziativa sull’ensemble.
Ovviamente quando si ha a disposizione una orchestra più grande e composta, è come volare su di un aeroplano Boing 747; la turbolenza la si sente di meno. Una orchestra più poderosa, seppur meno agile, ha un peso specifico maggiore nel suono.
Quante ore trascorri insieme all’orchestra?
Non tantissimo purtroppo.
Occorre quindi avere un grandissimo talento per una perfetta riuscita e sincronizzazione.
Bisogna avere le idee molto chiare. L’orchestra e la partitura sono dei microcosmi, dove c’è tutto ciò di cui ho bisogno. Occorre conoscere perfettamente ciò che si vuole, cogliere degli aspetti e finalizzarli.
“Tema d’Amore” è forse Uno dei tuoi temi più memorabili, legato allo straordinario film di Giuseppe Tornatore, “Nuovo Cinema Paradiso“. Qual è stata la tua fonte di ispirazione per realizzarlo? Eri innamorato?
Si, ero innamorato di una ragazza in quel periodo, come era mio solito dai 20 ai 30 anni. Un pò come capita a tutti d’altronde.
Per lo più però, ero innamorato del suono e della musica.
Durante i 24-25 anni, ero un po’ alla ricerca di me stesso.
Il conservatorio non mi ha offerto gli strumenti necessari per essere me stesso, per essere ciò che sono ora. Le nozioni talvolta possono essere anche aride, ma sono fondamentali. Sono enormemente riconoscente ai miei insegnanti, ma in quel periodo non sono stato in grado di estrinsecare la mia creatività e di portarla a dei buoni risultati.
In realtà quel tema è venuto fuori magicamente, benchè non avessi le conoscenze che ho ora. In quel periodo ho composto diversi temi, persino il brano che poi ha cantato Sting, “La Piovra”.
Anche “Nello Sguardo”, tema che poi è diventato il secondo tema del mio brano per viola e orchestra d’archi, è stato composto in quegli anni. “Nello Sguardo” è stato eseguito recentemente, l’11 Gennaio 2012 a Trento.
In quel periodo c’è stata in me una fibrillazione di idee e creatività, ma è trascorso altro tempo, prima di raggiungere una grande padronanza del mezzo.
Questo dono straordinario che si è manifestato sin da quando ero bambino, ora è corroborato da tutta una serie di conoscenze. Conosco il repertorio classico di Brahms, Beethoven, Mahler, Mozart e Bartok. Compositori che ho studiato profondamente.
Come è nata la collaborazione con Sting per la canzone “My Heart And I“, ispirata dal tema “La Piovra“.
Nasce per la liaison con un mio amico flautista, amico anche di Sting, che mi ha proposto una collaborazione. A Sting è piaciuto il mio brano e lo ha cantato. Tra l’altro, sono andato a casa sua, a pranzo.
Sono partito da Roma per arrivare nella sua casa in Toscana, dove ho avuto modo di conoscere tanti artisti, tra i quali anche Madonna. Artisti che ho poi rincontrato anche a Los Angeles.
Quale colonna sonora avresti voluto realizzare?
Tutte quelle che non ho scritto.
Non ce ne è una in particolare. In realtà non perdo tempo, ovvero non aspetto un mandato per comporre. La mattina mi concentro sulla mia partitura e non mi ferma nessuno.
Recentemente però mi ricavo anche dei momenti per stare con Alessia, dedicarmi agli amici e alla mia famiglia.
Seppur il mio primo pensiero è quello di comporre. Mi sveglio molto preso al mattino, ora soltanto alle 8, mentre qualche tempo fa la sveglia suonava alle 5:30, per recarmi direttamente in studio alle 6:30 del mattino.
Quindi, il tuo primo pensiero quando ti svegli è la partitura.
In realtà non lo lascio mai, neanche quando vado a dormire. E’ un lavoro che svolgo 24 ore su 24, perchè esercito una fortissima autocritica su di me. Non mi accontento mai. Sono sempre alla ricerca di un livello superiore per le mie creazioni.
Con l’esperienza acquisita però, posso tranquillamente affermare di aver concluso molte opere, delle quali essere soddisfatto. Ora scrivo con molta più facilità, portandole a termine in tempi minori.
“The Mission“, il film di Roland Joffé, ha ispirato l’omonimo musical “The Mission – Heaven on Earth“, andato in scena a Seul, in Sud Corea. E’ previsto un tour anche in Europa?
Non lo so questo. Dovresti chiedere ai produttori.
In un periodo di crisi come questo, si evidenzia d’altra parte una creatività più in fermento che mai. In questo, gli italiani son storicamente avvantaggiati, grazie alla loro sfrenata fantasia. Tu come vedi il futuro musicale in Itala e all’estero?
Credo che la tradizione musicale di un paese sia rilevante, ma non in senso assoluto. Non in modo totalizzante.
Sono più fiducioso rispetto all’individuo, piuttosto che all’eredità storica e culturale di un paese, benchè l’Italia annoveri dei compositori straordinari nell’ottocento, quali Puccini, Verdi, Doninzetti e Rossini, soprattutto per quello che riguarda il bel canto.
Siamo spesso citati per essere il Paese del bel canto. Credo che le sorti della musica dipendano più dall’individuo.
Viviamo in un periodo storico dove la cultura circola in molti modi differenti, come internet ad esempio. C’è una grande osmosi, non dovuta semplicemente all’unione europea. Credo che sia l’individuo a fare le proprie scelte.
Il compositore non può far altro che compiere una scelta e comporre. Lui stesso può cambiare la storia ed il suo percorso, attraverso la sua musica.
Certo, nel campo della musica pop, rock, etc, la lingua è importante, ma ciò rientra in un altro frangente. L’inglese, l’italiano, il francese ed il tedesco sono lingue importanti e fondamentali nella creazione della propria musica, poiché c’è un riferimento a un paese, a una nazione ed alle tradizioni, attraverso il fattore linguistico.
Da un punto di vista prettamente musicale, l’artista ha il compito di esprimersi a 360 gradi rispetto al mondo.
Secondo te l’Italia è un paese culturalmente educato? Nel fattore specifico riguardo la musica.
Non so dare un giudizio specifico. Quel che intendo fare è offrire un messaggio al pubblico dei fruitori, un messaggio che possa interessare.
Credo che oggi sia difficile comunque, poichè il pubblico in realtà è “traumatizzato” da questa grande scissione che vi è stata, dopo gli anni ’50, creando una frattura di linguaggi.
La musica “colta” è una musica atonale. Il pubblico è stato un pò traumatizzato da questi nuovi codici proposti recentemente nelle sale da concerto. Bisogna preoccuparsi di riportare il pubblico nelle sale da concerto.
In questo senso, a mio avviso, è per questo che il pubblico è traumatizzato. Non lo è per esempio quando si accosta al Festival di Sanremo; il pubblico lo attende poichè è un fenomeno di costume, anche se poi magari lo critica. La musica è un fenomeno di costume.
Credo che l’artista debba creare dei “prodotti” di qualità per arrivare al pubblico, anche se ciò è una impresa molto ardua, poiché il pubblico non esce più molto, non va molto al cinema, non acquista dischi, si producono meno film. Mettiamoci anche che molti compositori continuano a scrivere nel linguaggio della scuola di Vienna o quasi. Ciò non risolleva l’attenzione del pubblico.
Sono per il recupero della melodia e del tema. Questa è la scelta che ho fatto, con consapevolezza e determinazione.
Va recuperato e curato, l’aspetto tra cultura musicale e fruitore. Anche una canzone Pop può essere altamente colta e prelibata.
Quale altra forma artistica ti piacerebbe sperimentare?
Mi piace scrivere i miei pensieri, sulla musica, su ciò che vivo, sulla cultura in genere e sull’arte, quando ho tempo naturalmente.
Purtroppo non ne ho molto libero.
Com’è vivere e lavorare tra Roma e Los Angeles?
Molto bello. E’ una sensazione straordinaria. Sono molto felice.
In questo momento lo sono tantissimo. Stanno nascendo dei sodalizi molto importanti nel mio percorso di artista, anche dal punto di vista organizzativo.
Viaggio, mi esprimo nel mondo. Non spreco il mio tempo. Scrivo persino sull’aeroplano.
Ad ogni modo, Roma e Los Angeles sono due città con due dimensioni differenti. Quando sono in Italia faccio qualche telefonata in più; quando sono in America pochissime. Vivo le mie giornate con molto silenzio interiore. Passeggio molto, penso e medito. Anche da solo.
La vita vissuta in queste due città è bellissima. Riesco ad attingere il meglio da entrambe, anche se in realtà il centro della mia vita sono io, come ognuno di noi è al centro della propria esistenza.
Ho un rapporto così intenso con la musica che sto bene ovunque mi trovi, basta che abbia con me le mie partiture. Starei bene anche in Alaska. Certo, mi piace stare anche in altri contesti, avere il mio studio, lavorare con alcuni musicisti e con le orchestre. In Alaska non li troverei.
Qual è il prossimo progetto al quale ti dedicherai?
Sto componendo proprio oggi una musica nuova.
Ho in mente diversi progetti importanti, anche di musica non applicata.
Per quanto riguarda la musica cinematografica, mi sono giunte delle proposte che valuterò. Per il resto, vivo alla giornata, vado dove mi porta la mia aspirazione. Se voglio scrivere un pezzo per un amico lo compongo, se voglio elaborare un pezzo, lo faccio.
Navigo a vista. Non ho le idee molto chiare su quello che sarà domani. So solo che sarà bellissimo.
Qual è la musica applica e quella non applicata?
La musica applica è quella che per comodità definisco cinematografica, cioè quella che nasce su committenza per un film. In realtà la musica cinematografica, può divenire non applica, estrapolandola dal contesto, se si regge su una profondità di pensiero e di composizione.
Vale anche il discorso inverso.
Nel film “The King speech”, ad esempio, l’allegretto della settima di Beethoven che tutti conoscono e gradiscono, calato in quel contesto, offre al film respiro e prestigio. Un brano diventa classico o si configurata tale, anche dopo che è stato inventato per una scena di un film.
Non è sempre così però, poiché spesso i registi chiedono il “semplice”, giustamente, perchè è una musica che serve per il film ed il compositore deve servire il film. E’ giusto che sia così.
Ma anche la musica “Semplice” di Mozart, riesce a giungere al grande pubblico.
Quella musica, relativa al film, nasce incompleta, poichè talvolta è proprio in funzione del film stesso, nella sua “semplicità”, e fa da contrappunto alle immagini. La sua natura è di tipo relazionale.
Mentre la musica non applicata, non ha questa caratteristica.
Potrebbe esserlo e può essere (come l’esempio di Beethoven) ma non è il suo scopo primario.
La musica vive di luce propria quando non è applicata, ma anche quella cinematografica può vivere di luce propria quando è di un certo tipo.
Spesso si realizzano per il film dei missaggi parziali dove si lasciano magari solo gli archi. Funzionano per il film, ma non si ha la completezza dell’opera.
Ti senti privato di qualcosa che potrebbe essere più intenso quando componi musiche per film?
No, non mi sento privato di nulla.
Sono sempre felice e gioioso, anche quando devo scrivere per un film.
Accetto il dialogo, la mediazione con il regista e con il produttore. Sono a totale disposizione del film e delle sue esigenze.
So che è così, quindi non ci sono problemi.