Le cronache si susseguono giorno dopo giorno, tra rimpalli di borsa e notizie dell’ultima ora. Per capire cosa sta accadendo nel mondo dei media è necessario andare con ordine. Partiamo dai protagonisti principali. Il primo è Rupert Murdoch, proprietario di News Corp che riunisce il cinema della 21st Century, l’intrattenimento, lo sport e le news dei canali Fox. Fatturato: 8,89 miliardi di dollari. Poi c’è la Disney Company di Bob Iger, proprietaria anche di Marvel, Pixar e Lucasfilm, oltre al canale campione di ascolti Abc. Fatturato: 55,14 miliardi di dollari. Il terzo è Brian Roberts che guida il colosso di famiglia Comcast: primo operatore della tv via cavo degli Stati Uniti, proprietario delle produzioni cinematografiche della Nbc Universal e dei canali tv Nbc, Msnbc e Cnbc. È la più grossa di tutte, con un fatturato di 62 miliardi di dollari. Infine c’è Netflix, guidata da Reed Hastings. Con un solo prodotto, cioè lo streaming, Netflix riesce a raggiungere il fatturato che Rupert Murdoch ha creato in trent’anni di attività e con i prodotti più disparati: 8,30 miliardi di dollari la pecunia che Reed Hastings gestisce nel corso di un anno. Un dettaglio che la dice lunga sulla necessità per le vecchie aziende del settore di riorganizzarsi. Sullo sfondo ci sono i “piccoli” Vivendi e Mediaset e, ovviamente, la politica. Andiamo per cronologia.

14 dicembre 2017: Disney e Fox ufficializzano con un twitt un nuovo accordo di vendita. Murdoch cede a Bob Iger la 21st Century Fox, l’intrattenimento e lo sport, mentre terrà per sé la carta stampata e le news dei canali Fox. Nell’accordo rientrano anche le partecipazioni che Murdoch possiede nella piattaforma streaming Hulu, nel colosso orientale Star India e soprattutto nell’europea Sky, di cui Murdoch possiede il 39% delle quote. Finirà tutto nelle mani della Disney per un costo totale di 66,1 miliardi di dollari che includono i 52,4 di acquisto più i 13,7 miliardi di debiti accumulati dalla Century. L’accordo è un colpo al cuore per Comcast che aveva provato per prima ad acquisire la Fox. I dubbi su un possibile blocco dell’Antitrust americana spingono Murdoch a preferire la Disney, così la stretta di mano si trasforma in un contratto carta contro carta.

23 gennaio 2018: L’antitrust inglese blocca l’aumento delle quote del gruppo Murdoch nella compagine Sky. Nel contratto di vendita che News Corp ha appena firmato con Disney, infatti, Murdoch avrebbe dovuto aumentare le quote di partecipazione in Sky dal 39 al 60% per poi girare tutto a Disney. La preoccupazione dell’Antitrust è quella di abuso di posizione dominante della MFT, la Murdoch Family Trust, che già informa (e dunque influenza) un terzo del pubblico anglosassone (il resto del mercato è diviso tra la tv di stato Bbc e la Itn). Matt Hancock, cioè il Ministro della Cultura, Media e Sport si esprimerà a riguardo il prossimo 1 maggio (nel Regno Unito la supervisione dei media è di competenza del dicastero della cultura e dello sport, non semplicemente dello sviluppo economico). Nel frattempo l’Antitrust fa sapere che la situazione si potrebbe sbloccare solo se Murdoch rinuncia in toto alla partita o se vende Sky a un altro competitor, distaccandola completamente dal comparto 21st Century. E ciò nonostante Murdoch abbia promesso un board indipendente che curi le notizie messe in onda da Sky News per i prossimi dieci anni. L’Antitrust chiarisce inoltre che sul giudizio non pesa il recente scandalo delle molestie sessuali che ha colpito alcuni volti noti delle reti americane Fox. Chissà se invece pesa il passato scandalo delle intercettazioni che ha coinvolto la testata britannica News of the World, che la famiglia Murdoch fu costretta a chiudere. La mozione dell’Antitrust ha il sostegno dei laburisti.
11 febbraio: il Wall Street Journal, di proprietà della famiglia Murdoch, pubblica la notizia di una probabile controfferta di Comcast sull’acquisizione della Century. I rumors dicono che Comcast non abbia nessuna intenzione di lasciare spazio alla Disney, così studia un modo per mettersi di traverso. L’offerta che Comcast starebbe pensando per Fox è di 60 miliardi, il 15% in più rispetto a quanto già pattuito con Disney. Nella partita resterebbe fuori il comparto sport di Murdoch per non incappare nel blocco dell’Antitrust americana. Ma lo scorporo potrebbe non bastare a sviare la vigilanza poiché si tratterebbe di un’acquisizione verticale, mentre quella con Disney è di tipo orizzontale. L’Antitrust americana è inoltre già impegnata ad esaminare un’altra fusione, quella tra il colosso della telefonia AT&T e Time Warner. In quest’ultimo matrimonio a mettersi di traverso è proprio il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che pare abbia preteso lo scorporo dell’odiatissima Cnn, ti proprietà della Warner, prima di procedere con la fusione. Lo stesso Presidente si dice invece favorevole ad un accordo tra Disney e Fox: meglio far crescere i vecchi media anziché i nemici politici della Silicon Valley. Soprattutto se siamo in piena frenesia da elezioni di Mid-term.

27 febbraio: Comcast ufficializza la guerra delle offerte. Lancia un’opa che riguarda esclusivamente il mercato europeo, nello specifico Sky plc che va in onda in Gran Bretagna, Germania e Italia ed è vista da 23milioni di clienti. L’offerta di Comcast aiuterebbe a neutralizzare il blocco dell’Antitrust inglese sull’aumento di quote della famiglia Murdoch, poiché si tratterebbe di un cambio di proprietà. Comcast è comunque presente sul mercato europeo attraverso il canale Cnbc Europe e nel Regno Unito possiede una sede operativa della Nbc Universal con 1.300 dipendenti. Secondo alcuni analisti, la presenza di Comcast sul mercato inglese è troppo esigua per incappare in un blocco Antitrust. Inoltre l’opa di Comcast porterebbe un po’ di soldi facili nelle casse della famiglia Murdoch, che nell’aumento delle quote di Sky aveva già previsto di investire poco per guadagnare tanto. L’offerta che Murdoch aveva fatto a Sky era infatti di 10,75 sterline per azione, una proposta considerata troppo bassa dagli azionisti della pay tv europea. Successivamente, girando l’affare alla Disney, Murdoch si sarebbe anche disfatto dei 13,7 miliardi di debiti della Century, consegnando a Bob Iger l’intero pacchetto (pay tv, cinema, sport).
Un eventuale acquisto da parte di Comcast, invece, porterebbe ad un guadagno più cospicuo: l’opa è di 12,50 sterline ad azione per un totale di 22,1 miliardi di sterline (30,87 miliardi di dollari, 25 miliardi di euro). L’ad di Comcast Brian Roberts ha già chiarito che l’attuale sede di Sky non verrebbe trasferita (per la gioia dei dipendenti) e che prevede di ottenere il controllo del 50% della società europea con un aumento dei ricavi dal 9 al 25%. Gli azionisti che non appartengono alla famiglia Murdoch, e che controllano il 60% di Sky, potrebbero quindi essere propensi ad accettare l’offerta di Comcast, più fruttuosa e con meno rischi sul fronte Antitrust.

La guerra delle offerte si muove su specifici territori e in tempi ben precisi. Per Comcast, infatti, è sufficiente lanciare un’opa sul mercato europeo per far saltare in toto l’accordo che Disney e Fox hanno siglato in terre americane. Per non mandare tutto per aria, alcuni analisti finanziari consigliano a Murdoch di rilanciare. Altri, optano per il non expedit: a Murdoch non conviene imbarcarsi in una guerra delle offerte se ha già deciso di vendere tutto a Disney. Tanto vale che se la vedessero fra di loro. Dal canto suo, l’ad della Disney Company Bob Iger è chiuso in un silenzio tombale. Attualmente impegnato con il Presidente francese Emmanuel Macron per un investimento di 2miliardi di euro per il parco a tema Disneyland Paris, Iger non si è prodigato neanche per un comunicato stampa formale. Resta da capire se Iger sia disposto a farsi soffiare l’intero affare Fox senza rilanciare neanche di un pelino. Allo stato attuale, l’offerta di Comcast su Sky è infatti la più favorita. Sia in termini di guadagni e Antitrust, sia per l’appoggio di preziosi alleati. Se infatti i laburisti vogliono vederci chiaro sull’acquisizione Comcast, con tutti i dettagli del piano industriale e degli investimenti futuri, i conservatori ne sono invece fortemente attratti. L’ad di Comcast Brian Roberts ne è cosciente, infatti afferma che “Il Regno Unito è e resterà un ottimo posto per fare affari”. Non male per un paese che cerca di trattenere quante più aziende possibili nonostante la Brexit. Soprattutto se l’Unione Europea gioca al ribasso, volendo l’Irlanda del Nord nella Ue e concedendo alla Gran Bretagna una semplice unione doganale. “La vita sarà diversa – dice un’amareggiata Theresa May – in un certo modo, il nostro reciproco accesso ai mercati sarà minore di adesso”.
E veniamo all’oggi. È di un paio di giorni fa la notizia di un nuovo accordo, quello tra Sky e Netflix. I clienti dei due colossi dell’intrattenimento potranno usufruire di entrambi i contenuti sul mercato europeo. Ben inteso, si tratta di un accordo esclusivamente commerciale, non c’è né fusione, né scambio di azioni o alleanze in termini proprietari. La stretta di mano serve solo ad allentare la tensione tra due gruppi che hanno battagliato da sempre. L’accordo non prevede reciprocità: i clienti potranno usufruire dei prodotti Netflix su Sky e sulla piattaforma streaming Now Tv, ma non sarà possibile, ad esempio, vedere Gomorra su Netflix. Insomma Netflix sta solo aumentando lo spazio di fruizione dei propri contenuti senza permettere che prodotti esterni si inseriscano nella sua piattaforma. Il guadagno, ovviamente, sta nei diritti di trasmissione delle produzioni. Una soluzione vantaggiosa per entrambi i gruppi che si attuerà concretamente nel 2019. Come si è detto, la guerra si gioca su specifici territori, in tempi stabiliti e con l’appoggio degli alleati.
A tal proposito è utile registrare altri piccoli scoppi, esplosi qua e là nei giorni scorsi. Il 27 febbraio, durante un convegno che Barack Obama vorrebbe tenere al riparo dai giornalisti, l’ex Presidente Usa afferma: “credo che le grandi piattaforme debbano avere una conversazione sul loro modello di business”. Sta parlando dei social network, quelli a cui Obama deve il supporto politico e il finanziamento delle campagne elettorali. “Non sono solo una piattaforma invisibile, stanno plasmando la nostra cultura in maniera potente”. Il cambio di rotta di Obama si inserisce in un quadro più grande: in attesa di capire come le burocrazie mondiali vogliano far pagare le tasse ai giganti del web, la Silicon Valley deve contrastare un brusco calo di reputazione. Haters, fake news, i braccialetti elettronici ai lavoratori di Amazon, l’evasione fiscale: elementi che stanno portando i cittadini a guardare i colossi di internet con occhi diversi. Per non parlare dell’uso di Twitter che fa l’attuale Presidente Trump e dei generosi sconti fiscali che la trumponomics ha appena elargito alle grosse compagnie. Obama, forse, avrà ritenuto opportuno correggere il tiro.
E infine la borsa. Nel giorno in cui Comcast ufficializza l’opa su Sky, i titoli del settore media schizzano in alto. Non si sa bene cosa accadrà, ma intanto sta accadendo. Nei mercati c’è euforia: Sky raggiunge picchi del 21% trainando l’intero comparto europeo, compresa la nostrana Mediaset che registra un rialzo del 2.35%. Nella stessa giornata Vivendi e Mediaset hanno appuntamento in tribunale per la vendita del comparto Premium del Biscione: nata come un’alleanza, quella tra Vivendi e Mediaset si è trasformata in guerra. Nel frattempo, entrambi i gruppi sono costretti ad osservare la stretta di mano dei loro maggiori competitors, Netflix e Sky. Ma per conoscere le prossime mosse di Silvio Berlusconi, sarà utile attendere le elezioni del 4 marzo.