Intervista a Caroline Pagani

Hamletelia
Intervista a Caroline Pagani, reduce dal recentissimo premio ricevuto al Roma Fringe Festival 2013, come Miglior Attrice. Caroline Pagani è attrice protagonista, regista e produttrice dello spettacolo teatrale “Hamletelia”, spettacolo tragicomico in prosa e musica ispirato ad Ofelia, uno dei personaggi principali della tragedia di “Amleto”, di William Shakespeare.

HamleteliaVincitrice del Premio “Miglior Attrice” al Roma Fringe Festival 2013. Cosa rappresenta per te questo premio? Te lo aspettavi?
No, non me lo aspettavo. Mi ha fatto indubbiamente piacere.

Non saprei dire bene che cosa rappresenti, mi auguro un ulteriore riconoscimento utile alla distribuzione dello spettacolo e non un elenco di premi fine a se stesso.

Narraci dunque del tuo spettacolo “Hamletelia“, portato in scena proprio al Roma Fringe Festival.
Hamletelia è una vicenda tragicomica d’amore e morte, un omaggio alla storia delle rappresentazioni di Amleto, in teatro, cinema e pittura.

Nasce per un festival di regia in Germania su Hamlet, in cui bisognava proporre un Amleto ridotto, in pochi minuti. Poi è diventato uno spettacolo, un infinito work in progress.

Al Roma Fringe Festival del 2013 ho portato una versione ridotta, in quanto andavo in scena dopo poco al Teatro dei Conciatori.

Hamletelia è una riscrittura dall’Amleto di William Shakespeare dal punto di vista di un personaggio femminile minore, ovvero Ofelia. O meglio, del suo fantasma.

Su un palco avvolto di terra scura, lo spirito di Ofelia, riporta in vita i vari personaggi del plot, ricreando in sintesi la storia di Amleto, attraverso le reviviscenze del padre, del fratello, dell’amato e di Gertrude, trasformandosi di volta in volta nell’uno o nell’altro. Hamletelia è anche un viaggio nel senso, dalla sensualità libidinosa di Gertrude a quella pura di Ofelia, alla misoginia di Amleto, soprattutto attraverso l’olfatto, da sempre considerato il più erotico di tutti i sensi.

Il concime utilizzato in scena come elemento rimanda al letto reale, diventato una porcilaia di lenzuola incestuose, ai corpi in disfacimento nel cimitero ed al marcio della Danimarca.

Qui Ofelia agisce, canta, balla, riallaccia il dialogo interrotto con Amleto, con Gertrude, con la vita.

Cerca di rispondere alle domande che la assillano, di colmare gli spazi bianchi del capolavoro shakespeariano, ovvero del perché Amleto le urlò di andare in convento, del perché Gertrude, che l’ha vista nel fiume, non l’ha salvata, del perché un capriccio dell’ispirazione le ha impedito di essere una donna coraggiosa come Giulietta, ardita come Lady Macbeth e sensuale come Cleopatra, del perché le è toccato in sorte questo sciagurato karma. Sicuramente Ofelia, come Amleto, uniti dal tema della follia e della lacerazione, rappresentava uno scandalo alla corte di Danimarca.

E’ stata abusata, fino alla fine, da tutti gli uomini della sua vita, e ancor più perfidamente, dall’unica donna che si è alleata a quel mondo patriarcale.

In questo ultra mondo, Ofelia incontra gli spiriti di altre eroine shakespeareane, quali Giulietta, Desdemona, Lady Macbeth e Cleopatra.

Lo spettacolo viaggia nelle pieghe del testo, nella storia delle sue rappresentazioni, con ironia e sollievo comico.

Ofelia, imbozzolata in un sudario bianco è ora un fantasma, una sciamana, una becchina e una donna che vive amplessi immaginari con l’uniforme di Amleto, al ritmo delle canzoni shakespeareane, sbozzolata, sulla nuda terra.

Diventa così la lussuriosa Gertrude, il proteiforme Amleto, l’incestuoso Laerte, un soldato violatore e se stessa, un personaggio amletico, comico, buffo, a tratti drammatico, moderno e contemporaneo.

Ofelia, la protagonista di questo spettacolo, vive forse non troppo lontano dai nostri tempi, ove situazioni insensate -talvolta- ne compromettono l’esistenza. Qual è il messaggio che diffonde la tua Ofelia alle donne? E agli uomini?
Ofelia è un’abusata, dal padre, dal fratello, dalla suocera, dall’amato.

E’ vittima, come Amleto, di una dinamica di “razzismo familiare”. Ho cercato di mettere in luce il diverso modo di amare, nell’uomo e nella donna, l’incapacità, spesso, degli uomini di comprendere i veri sentimenti delle donne, di mostrare un punto di vista femminile.

Il mondo in cui si svolge Amleto è un mondo patriarcale, Gertrude, l’unica donna che forse avrebbe potuto aiutare Ofelia, si è alleata a quel mondo patriarcale. Amleto è uno di quei testi dall’ “effetto Gioconda” in cui ci sono vari strati e livelli. Questa è una riscrittura in cui c’è molto di Amleto, ma da un punto di vista femminile.

Gli uomini? Forse vengono indotti a riflettere, amleticamente, sull’oltre, sull’importanza di avere il coraggio di fare delle scelte, in vita, di vendicare un torto subito, a quei tempi la vendetta era l’unico modo di farsi giustizia, alla quale spesso e purtroppo molti si appellano anche oggi, visti i tempi della giustizia “legale” nel nostro paese, sull’ineluttabilità della morte, sull’importanza di non avere rimpianti.

Caroline Pagani ha una passione sfrenata per Shakespeare, tanto da studiarne ogni opera e omaggiandolo con sue drammaturgie teatrali. Qual è l’opera che più le assomiglia?
Tutte le opere di Shakespeare possono somigliarci.

Sono talmente dense di storie, intrecci, umanità, vita e passioni, che è impossibile restare indifferenti.

E’ una festa del linguaggio e noi siamo il nostro linguaggio. Un mix meraviglioso di sacro e profano, cielo e terra, amore e morte.

Amo particolarmente “Il Sogno di una Notte di mezza estate”, ove Titania, è un tripudio di magia, sensualità e fantasia, ma soprattutto adoro Antony&Cleopatra. Sono personaggi molto sfaccettati che si crogiolano nel tormento amoroso, che distruggono per poter di nuovo provare piacere nel ricongiungimento.

Cleopatra non solo cambia il destino dell’umanità, ma è un personaggio molto teatrale, si mette continuamente in scena, è un carro di Tespi ambulante, attrice, autrice e regista di se stessa, tragica e comica, un personaggio dall’infinita varietà.

Se si pensa che ai tempi di Shakespeare erano dei ragazzini imberbi a interpretare Cleopatra e che il pubblico rischiava di innamorarsi non solo del personaggio ma anche di chi stava sotto al costume, ciò era dovuto all’ausilio dell’uso della sola parola ed alla potenza che il linguaggio aveva di veicolare le immagini, delle vere e proprie scenografie verbali, che accadono unicamente nella mente dello spettatore.

Questo è il potere dell’immaginazione.

In tutti i testi c’è qualcosa che somiglia a ognuno di noi. Tant’è che Harold Bloom parla di Shakespeare come di un archetipo, come di colui che avrebbe inventato l’umano, che viene prima dell’analisi, dei Greci e dei Romani.

Il mondo è pieno di Jaghi, Cordelie, Lady Macbeth, Otelli, Amleti, Gertrudi…

Come nasce la passione per il teatro?
Giorgio Strehler, Valentina Cortese ed Andrea Jonasson erano miei vicini di casa. Mio fratello da piccolissima mi portava a teatro. Valentina recitava spesso Liuba del Giardino dei Ciliegi.

Il teatro era un rifugio, un luogo della fantasia in cui poter proiettare qualsiasi cosa, situazione e mondo.

Tra regia, scrittura e attrice, in quale veste Caroline si sente più a suo agio?
Amo molto scrivere ma ancor di più fare l’attrice.

E’ un mestiere che ti permette di dimenticarti di te stesso, in cui il tempo si ferma, in cui non hai tempo per pensare.

Ti costringe a usare il corpo come la testa, il mentale come l’emozionale, alla meraviglia dell’abbandono, ma con una parte di te che controlla l’altra, una che si abbandona, l’altra che sa esattamente come muoverai il piede, la gamba, il braccio, l’occhio, il sopracciglio.

Qual è il “maestro” del mondo teatrale di Caroline? A quale figura si ispira e dalla quale trae i maggiori insegnamenti?
Giorgio Strehler, a cui ho fatto appena in tempo a fare da assistente volontaria per “I Giganti della Montagna”, il Teatro delle Albe, di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, Eimuntas Nekrosius.

Di Strehler amavo l’uso della luce, il realismo poetico, l’attorialità pura, di Nekrosius amo la visionarietà, l’uso dei simboli, i silenzi, e la capacità che ha, pur usando simboli astratti, di veicolare delle emozioni potenti.

Delle Albe amo le contaminazioni, fra fonti alte e basse, ed il loro teatro sfalenante, immaginifico e rigoroso al tempo stesso.

Amo il teatro dei bei testi e degli attori, non c’è bisogno di altro per fare un bello spettacolo e condividere sogni ed emozioni con un pubblico.

Hamletelia” sarà portato in giro anche presso altri teatri o festival?
Hamletelia è in scena in stagione al Teatro dei Conciatori di Roma dall‘8 al 13 ottobre, dal 16 al 20 ottobre a Milano al Teatro Tertulliano, a Napoli, al Teatro Elicantropo dal 28 novembre al primo dicembre.

Lo sto traducendo in Francese e Spagnolo.

In questo periodo stai inoltre preparando nuovi spettacoli?
Sto lavorando a uno spettacolo-concerto su Herbert Pagani, cantautore e artista visivo, che costruiva delle visionarie città di legno coi relitti del mare che trovava sulle spiagge.

Sto lavorando alla traduzione e adattamento di un bellissimo testo di Steven Berkoff ed al libro “A letto con Shakespeare”.

Progetti per il futuro?
Trovare uno spazio e magari un luogo in cui espatriare.

In un luogo felice e meritocratico. Un luogo in cui gli attori e gli artisti siano rispettati, valutati e stimati.
Questa utopia del teatro verrà descritta in un mio nuovo lavoro. Dopo “Mobbing Dick” e “Teatreide”, arriverà “Utopia”.

Vorrei costruire il mio teatro insieme ad artisti affini, in cui ognuno abbia il proprio ruolo. Mi piacerebbe scoprire artisti meritevoli e dar loro la possibilità di far vedere i propri lavori, solo ed esclusivamente in base al lavoro, un luogo in cui sia possibile un incontro di anime, al di là di ogni dinamica “scambista” , di “do ut des”, di tipo politico, produttivo, eccetera.

Caroline Pagani è nata in Italia da famiglia cosmopolita. Laureata in Filosofia con tesi in Storia del Teatro Inglese a Milano, si è specializzata in Drammaturgia e Regia a Venezia.
Ha lavorato come attrice con Teatro delle Albe, Mamadou Dioume, Teatridithalia, Teatro del Vascello, Teatro Stabile del Veneto, Calixto Bieito, Peter Greenaway. Come assistente alla regia con Giorgio Strehler, Luciano Damiani, Ezio Toffolutti.
Ha scritto, diretto e interpretato Shakespeare’s Lovers. Quello che William faceva alle donne.
Sta scrivendo il libro “A letto con Shakespeare”.

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