REGIA E FOTOGRAFIA: Grant Gee
SCENEGGIATURA: Emre Ayvaz
CON TESTI ORIGINALI DI: Orhan Pamuk
GENERE: Docu-fiction
PAESE: Gran Bretagna / Turchia, 2015
DURATA: 97 Min
CAST: Serra Yilmaz, Pasquale Anselmo, Mehmet Ergen, Süleyman Fidaye, Turkan Soray, Ara Güler, Dursun Saka, Alparslan Bulut
MONTAGGIO: Jerry Chater
MUSICHE: Leyland Kirby
SCENOGRAFIA: Jack Fisk
COSTUMI: Jacqueline West
PRODUZIONE: HOT PROPERTY PRODUCTION, IN CO-PRODUZIONE CON ILLUMINATIONS FILMS, VENOM, IN BETWEEN ART FILM, VIVO FILM, IN ASSOCIAZIONE CON FINITE FILMS, ARTE FRANCE-LA LUCARNE
DISTRIBUZIONE: NEXO DIGITAL
TRAMA: In genere i musei più belli del mondo sono quelli cui si ispirano i registi e i romanzieri per le loro opere: basti citare Belfagor – Il fantasma del Louvre o la Mary Beton descritta da Virginia Woolf, che aggirandosi tra gli scaffali del British Museum dà il via a “Una stanza tutta per sé”.
A volte, però, accade anche il contrario: prendete uno degli scrittori contemporanei più amati al mondo, premio Nobel per la letteratura nel 2006, tradotto in più di 60 lingue e con oltre dodici milioni di copie vendute in tutto il pianeta. Sia che siate suoi lettori da sempre, sia che vi avviciniate per la prima volta alle sue opere, permettete a Pamuk, il romanziere più famoso di Istanbul, e al film di Grant Gee di guidarvi per le vie della città e lasciatevi ammaliare da una storia di collezionismo misteriosa e intensa che racconta come un luogo reale possa nascere, in occasioni particolari come questa, dalla forza dell’immaginazione e della scrittura..
Davvero emozionante trovare nelle sale, anche se per pochi giorni, un documentario come questo, che ha innanzitutto il merito di mescolare tra loro istanze culturali diverse: piccoli misteri della creazione letteraria, luci e ombre di un paese dall’assetto democratico sempre molto precario come la Turchia, contrasti di coppia, ricognizione di spazi urbani in perpetua trasformazione e un fecondo cortocircuito tra ricerca documentaria e qualche etereo innesto di finzione cinematografica. Si configura più o meno così Istanbul e il Museo dell’innocenza di Pamuk, il lavoro diretto dal britannico Grant Gee e presentato alle veneziane Giornate degli Autori nel 2015.
Il film portato finalmente sugli schermi italiani da NEXO DIGITAL prende le mosse da un’ossessione amorosa assai contrastata, quella del benestante Kemal per la giovane Füsun, raccontata poi dal premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk in una forma del tutto particolare. Dopo aver raccolto per tutti gli ultimi anni della propria vita oggetti appartenuti all’amata, Kemal ha infatti chiesto all’amico scrittore di costruire un museo che custodisse le memorie di questo tormentato sentimento: il Museo dell’Innocenza. E oltre a mettere in pratica il desiderio dell’amico, Pamuk ne ha ricavato un libro che trasuda di tali contorte vicissitudini da ogni poro e che ha conquistato il cuore di milioni di lettori, in tutto il mondo. Basterebbero forse simili, straordinarie circostanze a rendere irripetibile l’esperienza spettatoriale rappresentata da Istanbul e il Museo dell’innocenza di Pamuk. Ma c’è dell’altro…
Il regista Grant Gee ha saputo estrarre dal materiale di partenza, già simile a un racconto di Borges, tutta una serie di intuizioni che spaziano dalle suggestioni urbanistiche alla sfera metafisica, dallo spirito romantico del protagonista alle trasformazioni socio-politiche (così spesso traumatiche) della nazione turca, dalle attitudini repressive di siffatto stato ai piccoli spazi di libertà personale. E ha realizzato ciò con una libertà stilista e narrativa che tiene Istanbul, la città raffigurata assieme al suo ectoplasmatico “doppio” (ovvero i luoghi un tempo esistiti e poi scomparsi, per rimanere vivi soltanto in un ripostiglio della memoria), quale imprescindibile punto di riferimento, se non addirittura come protagonista aggiunta.