Infantile, tribale e dissonante come il suo genere musicale preferito: il jazz. Jean-Michel Basquiat, antesignano dell’arte dei graffiti, sarà in mostra a Roma al Chiostro del Bramante dal 24 marzo al 2 luglio. Cento le opere esposte, tra cui quelle prodotte assieme a Andy Warhol.
La mostra rientra nel progetto portato avanti da Dart Chiostro del Bramante, organizzazione che si è occupata di riportare in vita il Chiostro – dalla ristrutturazione alle esposizioni – e che ha inaugurato una sorta di percorso esplorativo sull’importanza della street art e del graffito. Dunque non poteva mancare Basquiat, considerato uno dei padri fondatori del genere (Shephard “Obey” Fairy, uno degli street artist più quotati al mondo, lo ha omaggiato con un ritratto).
“Papà un giorno diventerò molto, molto famoso”, disse un giovanissimo Basquiat a quel padre aggressivo e violento che inciderà profondamente nella sua psicologia. Aveva ragione. Ma prima di arrivare al successo Basquiat vive per strada, è figlio di padre haitiano e madre americana con origini portoricane. Frequenta una scuola per ragazzi problematici ma con talento dove conosce l’amico Al Diaz con cui imbratterà i muri di New York. I due si firmano con il marchio Samo, acronimo di “Same old shit”. Sono gli anni ’70 e il graffito è ancora un atto di vandalismo, lungi dall’essere considerato arte. È pura protesta, come quella che l’afroamericano Basquiat indirizza contro l’odio razziale di cui è vittima. È l’irriverenza di due ragazzi scapestrati che si divertono con l’ermetismo e il non-sense. “Samo save idiots”, Samo salva gli idioti, si legge sui muri della New York di quegli anni. Quando l’amicizia fra i due finirà, Basquiat userà la bomboletta per scrivere “Samo is dead”.
Successivamente si guadagna da vivere vendendo cartoline per strada da lui decorate e che saranno la sua fortuna. Fra gli acquirenti c’è infatti Andy Warhol che ne nota il talento e decide di portarlo sotto l’ala protettiva della sua Factory. A soli 20 anni, Basquiat è già astro nascente dell’arte contemporanea. Sebbene la produzione artistica copra appena un decennio, come tutti gli artisti di strada Basquiat è estremamente prolifico.
Le sue opere sono infantili, raffigurano casette colorate, mucche e macchinine, ma subiscono anche l’influenza dell’arte africana con richiami tribali, quasi primordiali. Elemento fondamentale della sua produzione è la parola, utilizzata per creare frasi dal significato nascosto o che si prestano a più interpretazioni. C’è anche il jazz, il genere musicale preferito dall’artista e sua grande ispirazione. Jazz e blues erano gli unici luoghi d’America in cui la questione razziale non esisteva, lo stesso Basquiat aveva un complesso musicale chiamato Grey (nome che deriva probabilmente dalla componente mista del gruppo, bianchi e neri insieme). “I’m not a black artist, I’m an artist”, non sono un artista nero, sono un artista, diceva Basquiat. E poi, l’anatomia.
I componenti del corpo umano sono molto frequenti, raffigurati nel dettaglio delle ossa e dei muscoli con relativa
didascalia. I richiami ossessivi all’anatomia derivano da un episodio d’infanzia che deve aver segnato Basquiat in modo indelebile, fino a farlo diventare tratto distintivo del disegno. Basquiat è un bambino di 8 anni quando viene brutalmente investito da un’automobile. Durante la convalescenza, impossibilitato a muoversi, la madre gli regala Gray’s Anatomy, un manuale di anatomia base da poter leggere per passare il tempo. Così le nozioni scientifiche diventano carne e ossa, polpa su tela.
A proposito di polpa. La più celebre al mondo è quella del marchio Campbell, che Andy Warhol riuscì a trasformare in opera d’arte. Nell’esposizione organizzata a Roma da Dart e Gruppo Arthemisia sono presenti anche alcuni lavori che Warhol e Basquiat realizzarono insieme, come quella che denunciava la Reagonomics, la politica economica di Ronald Reagan (in foto). L’amicizia fra i due si rompe a metà degli anni ’80 a causa di una recensione del New York Times. Il quotidiano, che inizialmente aveva osannato Basquiat, lo definisce l’ennesima “mascotte di Warhol”. Per Jean-Michel è un colpo al cuore. Mentre Warhol è abituato a sopportare la pressione mediatica e le sue feroci critiche, Basquiat è ancora troppo giovane per gestire il successo. La sua emotività è fragile, il consumo di droghe fa il resto. Accusa l’amico di volerlo oscurare e abbandona la Factory. Qualche anno più tardi, quando Warhol morirà per un’operazione alla cistifellea, Basquiat si sentirà in colpa per l’amicizia perduta e cercherà di superare il lutto abusando di eroina. Morirà di overdose il 12 agosto del 1988.
Il padre cercherà di far fortuna vendendo le opere di quel figlio a lungo maltrattato, ma con scarso successo. Quelle esposte al Chiostro del Bramante provengono dalla Mugrabi Collection, una delle raccolte di arte contemporanea più imponenti, creata dal collezionista israeliano Jose Mugrabi. Sono presenti serigrafie, acrilici, olii, disegni a matita e persino ceramiche decorate dall’artista americano (la combinazione di tecniche e materiali diversi è un altro tratto distintivo di Basquiat che spesso adattava le tele inchiodandole a delle semplici assi di legno). I particolari non sono irrilevanti. I 59cent dipinti su un quadro non sono altro che il prezzo lasciato su un piatto di ceramica esposto nella sala successiva. La maniacale psicologia di Basquiat sta tutta qui.