BUCKCHERRY, E SONO OTTO!

Sempre una garanzia di hard rock made in L.A.

BUCKCHERRY – WARPAINT – Century Media – 2019

Produzione: Mike Plotnikoff

Formazione: Josh Todd – voce; Stevie D – chitarra e voce; Kevin Roentgen – chitarra e voce; Kelly Lemeux – basso e voce

Titoli: 1) Warpaint; 2) Right now; 3) Head like a hole; 4) Radio song; 5) The vacuum; 6) Bent; 7) Back down; 8) The alarm; 9) No regrets; 10) The hunger; 11) Closer; 12) The devil is in the details

 

Gruppo davvero autentico, i Buckcherry. Caratterizzati indissolubilmente dalla voce sporca e graffiante di Josh Todd, ormai unico elemento superstite della formazione originale dopo gli abbandoni del chitarrista Keith Nelson e del batterista Xavier Muriel, sono una band che ha ormai passato i 20 anni di carriera dall’omonimo debut-album col botto del 1999, allora ben appoggiato da un tour di spalla ai Kiss.

Nonostante il successo di Sorry (dal terzo album, 15 del 2007), sono sempre stato dell’idea che le ballad mal si addicano a questa voce, e in questo lavoro ne troviamo due, The hunger e l’emblematico titolo Radio song, che sembrano confermare che i nostri non rinunciano del tutto ad una certa visibilità commerciale. Il risultato, però, resta a mio avviso privo di mordente e neanche così intriso di sentimento.

Detto questo, però, mi alzo il cappello di fronte agli altri 10 pezzi, tutti con divagazioni abbastanza contenute all’interno del marchio di fabbrica Buckcherry: rock & roll sfrontato, a tratti aggressivo, anthemico, grezzo ma comunque di livello, razie anche all’esperienza.

L’ottima opener War paint ricorda molto da vicino Lit up, singolo e brano di punta dell’album d’esordio, con quella voce unica che al primo impatto può perfino suonare sgraziata ma che in pochi minuti mi ha conquistato fin da allora, e comunque un ritmo incalzante dall’inizio alla fine.

Anche la copertina richiama molto quel primo disco, altra circostanza che infonde fiducia che siamo di fronte ad un classico disco dei Buckcherry. Non si fanno mancare nulla in quanto a tatuaggi e pitture di guerra varie i Buckcherry.

Dovessi citare qualche altro episodio (di poco) fuori dalle righe sarebbe No regrets, un punk piuttosto diretto con un guitar solo quasi country, che infatti viene piazzata proprio prima di The hunger, uno delle due ballad. The vacuum, invece, rappresenta l’espressione migliore dell’ugola di Todd, sempre un pò acida ma per niente intaccata dagli anni trascorsi.

Inserita nell’album “per scherzo” a detta del cantante Josh Todd la cover di Head like a hole dei Nine Inch Nails, si amalgama bene in un disco che, ballad a parte, o forse anche grazie a quelle che in qualche modo anno sempre fatto capolino nei loro lavori, se non riscrive la storia almeno mantiene viva e salda l’anima della band, e quel suo rock & roll festoso e ad alto volume cui ci ha abituati.

Alessandro Tozzi

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