CESTOPIS, DIARIO DI VIAGGIO DI LUCIE JINDRAK SKRINVANKOVA

Impressioni dalla mostra

Foto Maurizio Isidori

 

Acquerelli dalla grande forza espressiva, spesso staccati direttamente dal blocco di disegno quale segno di una creatività impetuosa e irrinunciabile. Così si è presentata ai visitatori la mostra “Diario di Viaggio” di Lucie Jindrák Skřivánková, artista ceca che ha esposto, per la prima volta in Italia, il suo ciclo di lavori degli anni che vanno dal 2012 al 2018.  Ci troviamo nel cuore di Roma, alla Bibliothé Art Gallery, singolare connubio tra una libreria, una accogliente sala da the, un luogo per la meditazione buddihsta e un piacevole ritrovo letterario.

Di fronte alla imponente libreria, carica di testi religiosi e spirituali (non mancano i richiami alle tematiche dell’esoterismo), spiccano i lavori di Lucie, mentre ad accogliere i visitatori, e ad esporre i caratteri e gli stili degli acquerelli, c’è la curatrice Susanna Horvatovicova Wagner, selezionatrice delle opere.

Lucie Jindrák Skivánková è nata a Vitkov nel 1982, nell’allora Cecoslovacchia e oggi Repubblica Ceca. Dopo aver frequentato la Scuola di Design e di Arti Applicate di Opava, si trasferisce all’Accademia delle Belle Arti di Praga ed ha cominciato ad esporre i suoi lavori fin dal 2005, ad Ostrava, giungendo a vincere nel 2010 la sua prima competizione per giovani artisti e a mettere poi in mostra le sue opere in tutto il mondo.

Il suo tratto, ispirato a quello di impressionisti come Monet e Cézanne, ci restituisce per cominciare le atmosfere di un intenso viaggio in nord Africa, paesaggi dettagliati che in qualche modo, usando solo inchiostro nero e forti contrasti, ci suggeriscono paradossalmente la forte luce e i caratteri di paesaggi e persone incontrate durante il tragitto (interessante soprattutto il momento dell’oasi). Le tematiche del viaggio tornano, stavolta a colori, negli scorci dei vicoli e dei palazzi romani, dove troviamo una deliziosa visione di Castel S.Angelo, e nei bellissimi paesaggi della sua terra natìa, dove domina invece la natura e il contrasto tra cielo e terra, come nelle scene della Bretagna dove grandi nuvole, il mare e le scogliere sono i grandi protagonisti.

Lucie Skivánková è anche un’artista attenta a chi la circonda, come ben dimostra la quantità di acquerelli che riprendono famiglia e amici: anche qui, nonostante la vena impressionista, colpisce l’attenzione per dettagli minuti come per esempio la fantasia dei tessuti o i ricami attentamente ripresi.

Sono pertanto riconoscibili, come in un almanacco privato che sostituisca alla pagina scritta la vena immaginifica dell’artista, soggetti che fanno parte del vissuto di Lucie e la cui identità, per quanto trasfigurata, emerge con chiarezza.
Chiude la rassegna una serie di lavori che appaiono più intimisti nella scelta dello stile dei colori che, a quanto pare, restituiscono un momento più complesso attraversato dall’anima dell’autrice ceca. Alcuni ritratti, infatti, sono realizzati con tratti forti e decisi, i volti sono meno morbidi e i lineamenti più duri, il colore torna assente ma senza restituire la sensazione delle luci forti della serie africana. Questi fanno da preludio alla cosiddetta “serie viola” che, oltre ad essere dominata da una precisa scelta cromatica, rappresenta un episodio fortemente riflessivo e di turbamento, illustrando spesso soggetti a carattere buddhista, una predilezione non casuale visto che, proprio in quel periodo, l’artista si è convertita all’antica religione orientale.

Ed è a ridosso di questo slancio metafisico che fanno la loro comparsa iperboliche tracce aeree, sagome di mondi affacciati sul vuoto, la cui vertiginosa presenza rimanda persino alle analoghe creazioni fantastiche di un maestro dell’animazione giapponese, Hayao Miyazaki, votato a sua volta a giocare coi brividi del volo e di città sospese nel cielo: vedi ad esempio l’indimenticabile lungometraggio Laputa (1986).
Dopo aver ammirato attentamente ogni singolo pezzo, accompagnati dall’entusiasmo dei commenti di Susanna, è bene fare qualche passo indietro e cercare di osservare da una certa distanza l’intero arco narrativo che ci viene presentato, apprezzando il significato del titolo dell’esposizione “Diario di Viaggio”: spaziando con lo sguardo notiamo infatti un vero e proprio percorso, stlistico e caratteriale, che attraversa non solo paesi e città, ma anche stati d’animo. Un cammino che affrontiamo con lo sguardo di Lucie Skivánková e, forse ancor più importante, con la sua stessa disposizione d’animo.

Massimo Brigandì (con la collaborazione di Stefano Coccia)

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