Guardatevi dalla luna

Il cinema dei licantropi secondo Stefano Leonforte

Guardatevi dalla luna. Il cinema dei licantropi
Autore: Stefano Leonforte
Editore: LEIMA Edizioni
Collana: Le mani
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 21 novembre 2019
Pagine: 463 p., Brossura

Intro: Essere umano condannato da oscure maledizioni a trasformarsi in una bestia sanguinaria, il Lupo Mannaro è la più tragica figura mitica del Soprannaturale. I suoi ululati pervadono l’immaginario fantastico e leggendario dei popoli europei, e al pari dei conturbanti appetiti del Vampiro hanno segnato indelebilmente l’epopea della Settima Arte. “Guardatevi dalla luna” ripercorre cent’anni di cinema licantropesco con analisi puntuali, testimonianze illuminanti e sorprendenti, giudizi critici, dettagliate ricostruzioni produttive e commerciali. Dai primordi del muto ai classici Universal che radicano i topoi del plenilunio, dell’argento e del “morso fatale”. Dalle audaci rivisitazioni dei cineasti italiani agli stravaganti cult movie del sottobosco exploitation. E poi le commedie, le argute parodie, il revival anni Ottanta promosso dai successi di Joe Dante e John Landis, le riletture di Wolf. La belva è fuori e Ginger Snaps, fino alle recenti odissee produttive di Cursed il maleficio e di Wolfman. Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul cinema dei licantropi (ma non avete mai osato chiedere) in un saggio che affronta con una mole di dati inediti, non ultimi i dettagli relativi alla censura italiana, una corrente fondamentale del fantastico in celluloide.

“L’Uomo Lupo sono io. Come lui, sono stato condannato a una sorte che non meritavo: essere ebreo in Germania. Non lo avrei scelto come destino, se avessi potuto. La svastica rappresenta la luna. Quando la luna si leva, l’uomo non vuole uccidere, ma sa che non può sfuggirle. È il destino dell’Uomo Lupo: sai che sta per succedere qualcosa, ma non puoi fuggire, non puoi rifugiarti da nessuna parte. È come finire in un campo di concentramento.”
Curt Siodmak

Al centro il saggista e storico del cinema Stefano Leonforte, durante la presentazione del suo volume sulla Hammer

I lupi mannari possono essere compagni di viaggio a dir poco inquietanti e pericolosi, specie nelle notti di luna piena. Ma grazie a Stefano Leonforte, studioso dallo stile ormai inconfondibile, abbiamo scoperto che possono essere anche eccellenti Maestri. Sì, veri e propri docenti di Storia del Cinema, visto che Guardatevi dalla luna. Il cinema dei licantropi attraverso le movimentate vicende dell’antico versipellis nella settima arte si trasforma, strada facendo, in un’analisi dettagliata, coinvolgente e sfaccettata dell’intera filiera cinematografica.
Non è un licantropo (almeno fino a prova contraria), Stefano Leonforte, ma dimostra di conoscere la materia come fosse una seconda pelle. E al di là della fitta, vivace aneddotica, è il metodo che ancora una volta sorprende in positivo. Come nei libri pubblicati in precedenza, vedi l’enciclopedico A qualcuno piace l’horror. Il cinema della Hammer Films, o come nella rubrica Divagante curata per la rivista CineClandestino, la passione per il cinema di genere si sposa nel critico e saggista veneto in un approccio alla scrittura a dir poco singolare. In pratica un’avvincente forma di storytelling, cui non difetta certo il rigore scientifico.

Vediamo allora di circostanziare meglio tali affermazioni. In Guardatevi dalla luna. Il cinema dei licantropi l’autore spazia dall’adorabile e pionieristica stagione del muto alle produzioni contemporanee, guardate talvolta con legittimo sospetto, per la banalità di certi soggetti e per quel proliferare di una computer grafica spesso adoperata con sciatta e dozzinale faciloneria. Lo sguardo di Leonforte però non è soltanto quello di un “nostalgico”, bensì quello di uno Storico del Cinema divertito, sottile e in preda a mille curiosità, rivolte verso ogni aspetto della produzione cinematografica e del suo impatto mediatico.
In ben 463 pagine le pellicole più nobili e artisticamente valide, altre opere minori realizzate da qualche onesto mestierante, taluni blockbuster dall’aria tronfia e i quasi inevitabili scivoloni nel trash duro e puro vengono posti tutti sotto la medesima lente da detective, che lo porta ad analisi tanto scrupolose quanto di piacevole scorrimento. Il cangiante ruolo del make-up e degli effetti speciali nel cinema dei lupi mannari. Le sceneggiature proposte e rimaneggiate più volte, passando di mano in mano, nell’articolato sistema degli studios americani. Le disavventure produttive. Gli imprevisti intervenuti in corso d’opera, sul set o magari in post-produzione. Le non sempre prevedibili reazioni di quel pubblico, modificatosi anch’esso a livello anagrafico, di scale di valori o semplicemente di gusto, nel corso dei tanti decenni presi in esame.
A tutto ciò si aggiunge, poi, quell’attenzione nei confronti dei cambiamenti introdotti nei film in seguito al fitto, incessante dialogo con le commissioni statali preposte alla censura, la cui filologica ricostruzione svela aspetti non così noti della filiera cinematografica, venendo a costituire anche qui – come in precedenti saggi – uno degli aspetti più originali della ricerca di Leonforte.

Se il versante archetipico e mitologico – coi tanti rimandi al folklore e alla letteratura di genere – della figura del lupo mannaro viene affrontato in primis dall’arguta penna di Franco Pezzini, autore della prefazione, un simile sostrato colto finisce per rientrare spesso nell’ampia, assai diversificata galleria di titoli raccontati in questa esaltante cavalcata al chiaro di luna. Tra infusi di aconito e pallottole d’argento. Ma vi è qualcosa in più della semplice “erudizione”: Leonforte non tralascia nessuno degli ingredienti che caratterizzano l’operato dei “cinematografari”, cogliendo l’essenza di Hollywood come delle più piccole produzioni nostrane o iberiche, ma sempre con una punta di humour vagamente british a condire il racconto e quei giudizi critici, a tratti sferzanti.
L’altro elemento da non sottovalutare, accanto all’ironia, è l’amore nei confronti dell’argomento trattato: tale passione rifulge particolarmente nella trattazione dei mostri targati Universal, con il forse poco (ri)conosciuto sigillo di Curt Siodmak in evidenza, oppure nelle schede di gemme (relativamente) più recenti come Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis o L’ululato di Joe Dante (datati entrambi 1981). Per non parlare dell’artigianale, tumultuosa odissea dell’Uomo Lupo iberico, Jacinto Molina Álvarez a.k.a Paul Naschy; una parabola tutta da riscoprire, in quanto emblematica della straordinaria e alquanto repentina fioritura del cinema fantastico in terra spagnola!

D’altro canto anche chi è impegnato, ora, nella recensione di questo libro, può avere qualche insolita predilezione e personali idiosincrasie. Per cui è con estremo godimento, ad esempio, che il sottoscritto si è immerso nelle pagine riguardanti Wolfen, la belva immortale (uscito anch’esso nel 1981, annata magica per davvero) di Michael Wadleigh, forse uno dei capitoli più eccentrici nella filmografia licantropica, ma anche per questo tra i più affascinanti.
Mentre, sempre nell’ottica del recensore, pur essendo assai condivisibili l’avversione nei confronti della CGI più maldestra e il rimpianto per le maggiori risorse espressive dei trucchi prostetici, ci sarebbero stati forse altri titoli da salvare nel panorama contemporaneo. A partire magari dal godibilissimo e picaresco Lobos de Arga (2011) di Juan Martínez Moreno, cui si accenna appena in nota, giusto per restare in quella Spagna, che alle fondanti esperienze degli anni ’70 ha visto sommarsi nel tempo la mordace ironia di Álex de la Iglesia e una non disprezzabile “next generation” di giovani autori amanti dell’horror.
Valida resta però l’impalcatura dell’ottimo lavoro svolto sul tema da Stefano Leonforte, alla cui vasta trattazione ognuno potrà semmai aggiungere le nuove imprese dei licantropi sul grande (o piccolo, di questi tempi) schermo, che più gli aggradano… prendendo, ovviamente, tutte le cautele del caso, per evitare di essere morsi.

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