Quando io ero ragazza i curriculum si spedivano per posta o si consegnavano personalmente in mano del responsabile, non on line come oggi. Quando mi assunse una delle più grandi aziende di abbigliamento in Italia tutto era nuovo, ed innovativo rispetto a qualche anno prima.
Al colloquio di quell’azienda un capo allestitore che era negli uffici direzionali centrali mi guardo’ mi sorrise e mi disse:”Che viso da bambina, ma quanti anni hai?” Sorridendo risposi :” Ne ho 19 compiuti da poco” e lui ” 19? Che stai a fare qui, vatti a divertire!” “No, ho bisogno di lavorare”. Mi sorrise ancora, ricambiai il sorriso, mi girai ed entrai nel stanza del colloquio con un uomo che era uno dei capi di quell’azienda. Io ero “broccola” (ingenua) e non lo capii perché lui mi mise a mio agio, mi fece un lungo colloquio ed alla fine mi assunse.
Iniziai di lì a poco, in un grande e nuovo negozio, incontrai tante ragazze (che divennero poi mie amiche negli anni) il capo allestitore istruiva tutte noi con pazienza ed allegria, il capo che mi fece il colloquio mi venne a salutare chiamandomi per cognome, ed io gli risposi:”Si ricorda del mio cognome” e lui “Certo, MARZIA(disse il mio nome scandendolo perfettamente per farmi capire che se lo ricordava eccome ) Ti ho assunto io”. Ecco, volevo sotterrarmi. Perché “broccola”(ingenua) ed inesperta non lo avevo capito, lui intuì il mio imbarazzo e mi diede un buffetto sulla guancia da “bambina” e se ne andò sorridendo. Si comportava con rispetto, affetto, perché sapeva che così facendo eravamo pronte a dare di più. Infatti lo facemmo, tirammo su quel negozio a suon di cifroni, io correvo con grossi stand pieni di abiti da bambini, e giganteschi carrelli pieni di maglie, calzini, cappellini, bavaglini. Macinavo lavoro come una macchina.
Fui confermata, il contratto di formazione lavoro trasformato in indeterminato. Facevo ore su ore, ma tutto era pagato, anche se erano tante, troppe, la sera arrivavo morta di stanchezza anche se ero giovane. Divenni rappresentante sindacale, la “capobanda” di tutte le commesse, per i miei diritti ed i loro. Per abbassare la soglia di ore lavorative, per avere del tempo in più per i figli che desideravo. Fui chiamata in rappresentanza di tutte le filiali del Lazio ad un congresso tenuto in Veneto. Mi feci peso di tutto. Ottenemmo molto, io nel frattempo lavoravo tantissimo perché essere sindacalista non significava prendere alla leggera il mio dovere. Avevo il rispetto di tutti.
Questa è la mia storia in breve di qualche anno fa. Rifletto e mi arrabbio come pochi quando sento dire che i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare. I giovani di oggi non hanno più nessuna tutela. Hanno telecamere che li spiano mentre lavorano, addirittura nei spogliatoi. Gli viene richiesto straordinario facendolo passare per “formazione” senza essere retribuito e neanche recuperato anche per un contratto di pochi giorni. In alcuni casi se avviene un infortunio non vengono soccorsi. Tutto quello per cui ho lottato (io come altre mie colleghe) se ne è andato beatamente e fottutamente a quel paese. I ragazzi devono abbassare la testa e credere che tutti i posti di lavoro oramai sono come una prigione di massima sicurezza, controllati a vista con un braccialetto al polso (proprio come i carcerati) .
I diritti non sono privilegi. Vengono assunti tramite agenzie interinali che fanno da cuscinetto fra le l’aziende che hanno necessità di dipendenti ma non vogliono responsabilità di nessun tipo e forza lavoro a basso costo. I diritti non sono agiatezze inutili, i diritti non sono superflue delicatezze di altri tempi. Questo hanno i ragazzi di oggi. Gli è stata tolta la dignità al lavoro e lo schiavismo è normalità. Colpa di tutti noi. Non sono altro che un numero, sono strumenti, macchinari. Hanno diritto a riposare, a lavorare le giuste ore ed i straordinari devono essere evento “straordinario” e pagato, non considerato un optional e parte di una formazione a carico del lavoratore perché non retribuito. Non devono stare sotto le telecamere spiati come galeotti in un carcere di massima sicurezza. Trattati come esseri umani, non come attrezzature di incasso soldi. Il rispetto è un diritto non un privilegio. Abbiamo colpa tutti se accadono fatti brutti. Abbiamo tolto la dignità al lavoro standocene zitti.
Tanto è ovunque così, ripetono come un mantra i giovani, ma quell’ovunque si è creato grazie alla paura, ai contratti a tempo determinato ed ai ricatti. Sono davvero furiosa, ed arrabbiata, perché alla fine tutti abbassano la testa e si va avanti sempre peggio, anzi non c’è mai fine al peggio e se succede è solo colpa nostra. La sindacalista che è in me oggi si è fatta prepotentemente largo, mi verrebbe di sbattere i pugni sul tavolo, perché sono certa che da qui a breve ai lavoratori non sarà concesso nemmeno di dormire, inventeranno uno strano aggeggio che ti farà essere attivo pure in fase REM. Abbiamo messo al mondo dei figli per essere liberi, non schiavi del lavoro, che deve essere giusto e tutelato. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, è il primo articolo della costituzione italiana, ma qui di costituzionale non vi è nulla più.
Marzia Bortolotti