Roma, 29 Agosto 2014, Villa Ada
Questa sera viene riproposto lo spettacolo “Pitecus”, che seppur sia uno spettacolo andato in scena per la prima volta quasi 20 anni fa, è ancora molto attuale per le tematiche affrontate. Segno forse che l’uomo (e la donna) non si sono ulteriormente evoluti, restando fermi nel loro piccolo mondo?
Flavia Mastrella: Il meccanismo è sempre quello, anche nella storia del potere, ci sono dei meccanismi primari.
Antonio Rezza: Quindi le tematiche che affrontiamo sono sempre attuali; sono contemporanee poiché non si poggiano sull’attualità becera.
Flavia Mastrella: Né politica; sono di senso e non di consumo.
Nei vostri spettacoli emergono difetti e debolezze della figura umana, in situazioni estreme e modellate quasi all’inverosimile, nelle quali spesso ci si può riconoscere, ridendo forse per esorcizzare il proprio modo di essere, scavando fin dove forse, non avremmo il coraggio di scavare, toccando il fondo. Come riuscite a riemergere senza lasciarvi contaminare dai personaggi?
FM: Beh, in gran parte i nostri spettacoli sono autobiografici, ognuno racconta un po’ di se. Più che altro ce li togliamo di dosso, quindi scivolano via.
AR: Beh, ma questo concetto è valido fino ad un certo punto poichè negli ultimi spettacoli non c’è spazio per l’autobiografia, perchè è tutto più assurdo e più metafisico. Non c’è più la storia, non c’è più niente.
Abbiamo cambiato nel corso degli anni il modo di intendere quello che facciamo. Ecco perchè in genere portiamo in giro tutti i nostri spettacoli, appunto perchè sono diversi l’uno dall’altro e questo cambiamento ci permette di rappresentarli tutti.
Qual è il personaggio o figura o sfumatura che più rappresenta al giorno d’oggi l’emblema dell’essere umano?
AR: Per me in questo momento è Mario di “Fratto_X”, quello che se ne va in giro, svanendo dalla vista del pubblico e strilla forte.
FM: Il Principe di Sassonia di “7-14-21-28”, un uomo davvero affascinante.
Le vostre opere suscitano sempre uno sfrenato interesse, in special modo durante i vostri spettacoli e produzioni non si può non ridere, seppur sia una risata amara e contagiosa, una risata che porta a riflettere, a pensare e forse magari a smussare qualche lato di chi recepisce il vostro messaggio. Il teatro può dunque essere terapeutico?
AR: Ma speriamo proprio di no. Tutto ciò che noi produciamo artisticamente lo facciamo essenzialmente per noi. Non siamo degli infermieri che si occupano di chi sta male.
FM: Certi spettatori però dicono che sia così, ovvero terapeutico. Alcune persone addirittura, se siamo in scena per dieci o più giorni, vengono a vederci più volte perché affermano di fare così una terapia, nella quale trovano beneficio. Resta comunque una loro scelta.
Non lo facciamo apposta, ma loro affermano che i nostri spettacoli li aiutano ad essere compresi. Forse interpretano in un modo che somiglia al nostro.
Lasciamo sempre una apertura nei nostri spettacoli, ognuno vede quel che vuole nelle rappresentazioni, quindi necessariamente ognuno vede o sente quello di cui ha bisogno. Ed è proprio in quel momento che loro pensano che il tutto sia una terapia, invece è solamente una associazione di idee.
Rezzamastrella è un sodalizio artistico instaurato e collaudato ormai da diversi anni, sempre florido e prolifero di opere che sfociano in diversi linguaggi artistici, ma qual è quello che più prediligete?
FM: Nessuno a questo punto, poiché ognuno aiuta l’altro.
Ogni esperienza, che sia di arte figurativa o cinematografica, poi influenza anche il teatro e viceversa.
Quindi è tutto collegato?
FM: Si, certo. Proprio in questo periodo stiamo scrivendo un libro e grazie agli appunti che mettono un po’ in ordine tutte le nostre idee, riusciamo a capire che ogni linguaggio o opera influenza l’altro.
AR: C’è una strettissima connessione insomma.
FM: E tutto si arricchisce man mano che si va avanti. Si arricchisce di sotto contenuti.
Trovo fantastiche le ambientazioni teatrali di Mastrella, dove si incorniciano perfettamente i personaggi che emergono dalla fervida immaginazione di Rezza. Minimali, essenziali, eppur così indispensabili per la messa in scena. Segno di una fortissima intesa intellettuale e creativa oppure invece di due visioni opposte che trovano un punto di incontro proprio nella realizzazione finale?
FM: Si, credo sia più un punto di incontro finale. C’è anche durante la lavorazione, ma più chiaramente si capisce nella realizzazione finale.
AR: Sono due mentalità opposte.
FM: Due mentalità che arricchiscono il discorso e si prestano all’ambiguità di senso. Quindi ci sono ancora più spunti per capire e dare un significato da parte di chi guarda, verso coloro che osservano.
AR: Anche perché il lavoro che che facciamo è opposto, soprattutto nel teatro. Ci occupiamo di due discipline diverse, quindi non potrebbe esserci una affinità prima della fine dell’opera.
FM: Lavoriamo sullo stupore. Io porto questi habitat (si chiamano così) ad Antonio, il quale si stupisce, ci sta dentro; infine ritorno da Antonio e mi stupisco di quello che è successo. Diviene una catena poiché infine si stupisce chi lo vede, ovvero lo spettatore.
E’ uno stupore continuo, anche se forse non è la parola giusta.
Quando Antonio Rezza trova un momento per scrivere, depura il linguaggio usato per la stesura degli spettacoli, con la scrittura di libri. Tra i vari scritti, qual è quello a cui sei più legato e perchè?
AR: Beh chiaramente quelli degli spettacoli perché non li scrivo.
Li vivo con il corpo e poi mentre son in piedi e mi stanco, nasce il testo.
Il libro invece è più immediato, quindi mentre scrivi un libro, anche se ti disattivi, hai sempre la coscienza di quello che fai e questo non mi piace. Cioè, mi piace scrivere libri, ma meno di fare spettacoli, altrimenti avrei scritto più libri e fatto meno spettacoli.
Con la scrittura si ha più controllo di quel che si fa, mentre negli spettacoli il controllo non c’è. Non hai il controllo sul tuo affanno.
La scrittura è più libera volendo, puoi organizzare e visualizzare situazioni che non devono essere rappresentate, si può far volare persino le persone ad esempio. Quella è una grande libertà che ti offre la scrittura.
La scrittura però ti porta a prevedere, poiché per prima cosa sei seduto e secondo me non fa bene stare seduti.
FM: Però fa bene scrivere.
AR: Bisognerebbe trovare il modo di scrivere in movimento o in piedi.
FM: In piedi o seduti, basta che ci si muova in qualche modo.
Teatro e tv, amore e odio per i due “palcoscenici” nei quali le vostre opere sono andate in scena. Come conciliare i due strumenti divulgativi? Semmai fosse possibile.
AR: Noi non li conciliamo. Quando danno la possibilità di fare quello che vogliamo fare, andiamo in televisione, altrimenti no.
FM: Però è una questione più avventurosa, andiamo a sondare terreni nuovi, nel senso che, esplorando queste attività, trovandoci a volte in tv o in radio, abbiamo modo di vedere delle realtà diverse e questo ci aiuta, perché altrimenti il teatro sarebbe monotono.
E’ un livello comunicativo diverso e c’è sempre da imparare. Quando Antonio, per esempio, è stato ospite da Neri Marcorè, abbiamo capito che certi meccanismi che noi utilizziamo, vanno bene anche a livello televisivo.
AR: Ma lo abbiamo sempre saputo, perché ogni volta che lo abbiamo fatto siamo andati bene. Le cose nuove vanno sempre bene.
FM: Ci siamo adeguati da subito al ritmo televisivo, che in realtà è pressante. Infatti il dialogo funziona perché appunto è pressante, non vi è un attimo di respiro. Abbiamo copiato questi ritmi.
Prossimamente ci sarà la vostra nuova produzione teatrale: possiamo avere qualche piccola anticipazione in merito?
AR: No, siamo in fase creativa.
FM: Non ancora, siamo proprio incasinati.
AR: Ad ogni modo dovrebbe debuttare a novembre del 2015, ma non sappiamo nulla ancora.
FM: E’ difficile, dopo “Fratto_X” è davvero impegnativo.
AR: Dopo “Fratto_X” è difficile trovare altre forme, involontariamente comunicative. Non è che possiamo rifare quel che abbiamo già fatto.
Saremmo potuti andare avanti tutta la vita con la stessa tecnica con cui abbiamo messo in scena “Pitecus”, un po’ come ha fatto Goldoni. Però noi non siamo così, cambiamo ogni volta e questo ci porta delle difficoltà in più.
Quindi sarà qualcosa di nuovo che gli spettatori non avranno mai visto?
AR: Certamente, ogni volta è così. Questa tecnica dei quadri bucati avrebbe potuto accompagnarci per sempre, ma abbiamo scelto di rinnovarci in continuazione.
FM: Però questa nostra tecnica dei quadri bucati si è poi evoluta nei lavori, perché “Fotofinish” ha un’altra forma di quadro, in “7-14-21-28” c’è il rotante ed in “Fratto_X” invece esce fuori da ogni schema. Quindi siamo all’inizio di un nuovo schema.
In definitiva, preferiamo il salto nel buio.