Ernesto Bassignano nasce a Roma ma per un periodo di tempo vivo a Torino, fino a tornare a Roma negli anni della maturità e percorsi di studi. Cosa ha conservato di quegli anni fuori da Roma?
Il Piemonte è dentro di me. Sono nato a Roma ma di origine sono piemontese. Gli anni da 8 a 18 sono quelli fondamentali per tutto e dunque li ricordo, quelli a Cuneo, con una nostalgia meravigliosa e fortissima.
Metà della mia produzione nasce di là, dalle montagne. Sono un romano per sbaglio insomma. Un intellettuale e un politico della Capitale con le radici ed il cervello tra colline, prati, monti e ruscelli piemontesi, con le storie partigiane nel cuore.
Musica e teatro si intrecciano tra versi cantati e storie di vita vissuta, dai turbolenti anni ’70 fino ad oggi. Cosa è cambiato da allora?
A Roma, mentre cantavo con Venditti, De Gregori e Locascio, contemporaneamente mi occupavo con Gianmaria Volontè del “teatro di strada”. Teatro per modo di dire, infatti altro non era se non controinformazione politica mediante azioni stradali di grande provocazione nelle quali mettevamo in scena i problemi della classe operaia.
Anche oggi vedo che molti giovani mettono in strada i propri temi e problemi con azioni simili. Semmai è la canzone sociale e politica dei miei tempi che non esiste più.
Durante il suo percorso artistico e di vita ha avuto modo di incontrare lungo il suo cammino diverse personalità, come Gian Maria Volontè, Francesco De Gregori, Antonello Venditti e molti altri. Ci racconti un ricordo o un pensiero legato a queste figure.
Sono ricordi immensi quelli che mi riportano agli anni ’60 e ’70, alla politica nelle strade intrecciata strettamente alla cultura “alternativa”. Sono stato molto fortunato ad avere avuto uno zio come il grande Fiorenzo Carpi e ad aver conosciuto tramite lui Strehler e la Vanoni, oltre allo stesso Dario Fo. A Milano ho imparato tutto quello che poi avrei sviluppato a Roma.
Ci racconti della sua esperienza al Folkstudio. Pensa che un’esperienza del genere possa essere di nuovo ripetuta oggi?
Il Folkstudio è stata la patria, sia il primo che il secondo, del nostro vivere le notti a Trastevere tra folk, jazz, blues e canzone di lotta. Anni irripetibili. Veniva a trovarci Guccini e noi ricambiavamo andando a Bologna. Venivano Gaber, De Andre’, tutti i folk singer americani ed i grandi bluesman. La sera capitava di cantare e suonare dopo un Gato Barbieri o una Odetta.
Ho prodotto Sergio Caputo, ho lanciato Locasciulli e Grazia Di Michele, ho presentato su quel palchetto un certo Rino Gaetano che nessuno voleva far esibire perchè giudicato un po’ stonato e un po’ carente come chitarrista.
Oggi mi occupo ancora di momenti del genere gestendo con altri l’Arciliuto, posto antico e bellissimo a due passi da Piazza Navona. Tutti i lunedì sera ospitiamo 4 cantautori .
Successivamente passa anche “dietro le quinte” attraverso il mondo radiofonico e televisivo. Ci racconti queste sue esperienze con la radio e la tv. Come sono cambiati, secondo lei, questi mezzi di comunicazione al giorno d’oggi?
Si, ho fatto anche le prime tv private romane e ho avuto l’onore di pagare 40 mila lire le gag e gli sketch di Verdone, Benigni e tanti tanti grandi attori. Con due lire e tanta fantasia e bella cultura si facevano cose impossibili oggi, poichè tutto costa caro e ha bisogno di strutture adatte. Si improvvisava. Era davvero, quella dei ’70 tra cantine e teatrini “off off”, un’epoca irripetibile.
La politica è sempre stata sua compagna di vita, della quale ha cantato e raccontato storie. Quali tra queste le rappresenta di più?
La politica, purtroppo per me, compagna d’una vita. Ancora oggi non ne posso fare a meno, è una droga.
La politica che mi ha rovinato ma riempito la vita di viaggi, impegno, amicizie e ed emozioni.
Scrissi addirittura, nel ’72, l’Inno del Pci, quella “veniamo da lontano” che trovate su Youtube cantata dal “Canzoniere delle lame” e che vanta più di 10.000 click. Sono andato in giro per tutto il Paese facendo 100 spettacoli l’anno.
Purtroppo nel frattempo i miei colleghi facevano dischi e diventavano famosi.
A quali progetti sta ora lavorando?
Progetti da pensionato. Scrivo canzoni e ultimamente tre brani a firma Bindi-Bassignano sono finiti in un album del tenore internazionale Luca Canonici che si appresta a portarle in giro per il mondo. Faccio un po’ di radio, qualche ospitata e aspetto che finiscano le vacche magre per tornare in giro con il mio gruppo.
“Vita che torni” è invece il suo ultimo lavoro discografico. Ci racconti di questo suo disco e del suo “ritorno” alla musica.
“Vita che torni” è il mio ultimo lavoro, molto dedicato alla nuova mia ennesima vita ma sempre al ricordo struggente di Cuneo e della mia gioventù in provincia tra campi, mangiadischi, biciclette e il rock di Elvis.
Penso sia un buon lavoro molto impressionista, colorato molto bene da Marco Adami. Si sente molto che, anche se mi annoverano nella scuola romana, sono di scuola francese e semmai genovese e “tenchiana”.
Qual è il brano che più la rappresenta?
La canzone che forse mi rappresenta di più è “Resterà una canzone”. Se vi va andate su Youtube e vedetevi il video corrispondente, penso che meriti.
Ci saranno occasioni per poter ascoltare il nuovo lavoro live, magari in qualche concerto?
Aspetto varie risposte da molte città, come Fano, Cuneo, Osimo, dalla Toscana, Puglia, Calabria. Sono prontissimo alla bisogna coi miei pards, per risalire sui palchi giusti e fare ascoltare la vera canzone d’autore ai pochi eletti che ancora la amano.