LA CIOCIARA

Versione teatrale in scena al Teatro Marconi, tra il 12 e il 15 dicembre 2024

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Testo originale: Alberto Moravia

Adattamento: Annibale Ruccello

Regia: Aldo Reggiani

Con: Caterina Costantini, Lorenza Guerrieri, Giuseppe Renzo, Mario Fedele, Vincenzo Pellicanò, Davide Varone, Flavia De Stefano

Musiche: Eugenio Tassitano

Scene e Costumi: G&P

Attrezzeria: Rancati Roma

Organizzazione: Gabriele Pianese

Nella Roma dell’immediato dopoguerra Cesira (Caterina Costantini) si trova ad avere un rapporto turbolento con la propria figlia Rosetta (Flavia De Stefano), ragazza dai modi ruvidi e dagli atteggiamenti volgari, presa dal desiderio di avere un’auto e poter vivere una storia con il proprio spiantato fidanzato. Cesira si arrabbia, ma è anche addolorata perché sa che Rosetta non è sempre stata così, anzi: negli anni precedenti era una ragazza dolce, con la quale c’era un rapporto stretto e sincero. Gli eventi drammatici della guerra l’hanno però cambiata, provata dagli stenti, dalla fame e soprattutto dall’orrore dello stupro subito dalle truppe marocchine al seguito dei soldati Alleati, i cosiddetti “goumier”, autori di turpi efferatezze contro la popolazione civile durante il 1944.
Cesira, rimasta sola, rivede così i fantasmi di quei mesi passati in fuga da Roma, dalla quale era scappata con la figlia per timore dei combattimenti, credendo ingenuamente di trovare rifugio nella sua terra natale, a Fondi nel Basso Lazio. Tra tante immagini atroci, riemerge però anche il caro ricordo di Michele (Giuseppe Renzo), intellettuale comunista trucidato dai nazisti, conosciuto e amato proprio in quel periodo tanto difficile e doloroso. E così, poco alla volta, ecco tornare alla mente l’intera storia, il cammino faticoso e la prima ospitalità miseranda ricevuta dall’anziana Concetta (Lorenza Guerrieri), gretta contadina interessata solo al guadagno facile. Proprio a causa del trattamento rude di questa, Cesira e Rosetta si dirigono allora tra le montagne, dove manca tutto, trovando rifugio tra persone che le accolgono, ma che sembrano incuranti di quanto accade attorno a loro, disinteressate perfino a chi effettivamente uscirà vincitore dalle ostilità. L’importante, dicono, è che “il negozio vada bene”. A redarguirli c’è proprio Michele, con il suo spirito nobile, con il suo slancio verso un ideale per un futuro migliore e con una sensibilità che fanno breccia nel cuore di Cesira. Quando i nazisti si presentano però ad esigere la guida di qualcuno che ben conosca il territorio, così da condurli al sicuro, lontano dalle truppe nemiche che avanzano, portano via proprio lui. Il suo triste destino, paradossalmente, sarà proprio ciò che farà ancora da collante tra madre e figlia.


Il drammatico racconto de “La Ciociara” è una celebre vicenda letteraria, il cui romanzo è stato scritto da Alberto Moravia nel 1957. Com’è noto dall’opera sono derivati numerosi adattamenti, tra i quali forse il più famoso è quello cinematografico di Vittorio De Sica che valse moltissimi premi alla protagonista Sophia Loren, incluso il trionfo a Cannes e il Premio Oscar.
La versione teatrale, andata in scena al Teatro Marconi di Roma dal 12 al 15 dicembre scorsi, vanta una lunga storia: è firmata da Annibale Ruccello, che la scrisse a metà degli anni Ottanta, per poi consegnarla alla regia di Aldo Reggiani (che è stato il marito della protagonista Costantini). Si tratta dunque di uno spettacolo che, nonostante la morte dell’autore e dell’originale regista (scomparsi da tempo), viene ancora portato sui palcoscenici italiani con costante entusiasmo e successo.
A colpire, in particolar modo, è l’atmosfera cupa che costantemente si respira, proiettata sul pubblico da un’attenta messa in scena sia dal punto di vista delle scenografie, sia soprattutto per quel che riguarda l’abile uso delle luci: il buio, i colori lugubri, gli sprazzi di luce e poi di nuovo il rosso del fuoco lontano o dell’inferno dei peggiori ricordi.

Cesira e Rosetta si muovono in uno scenario arido, desolato, non solo dal punto di vista prettamente pratico, ma anche umano. Le furbizie e i biechi espedienti di Concetta, ottimamente resa da Lorenza Guerrieri, si accompagnano al pressappochismo e alla superficialità di chi tende a osservare con cinismo e distacco gli eserciti che si danno battaglia nella zona. Gli inglesi, i tedeschi, i fascisti e il destino delle nazioni sono sullo stesso piano agli occhi di chi bada semplicemente al proprio piccolo cortile. Ecco perché il livore di Michele emerge con maggiore forza, amareggiato dal torpore e dalla povertà umana che lo circonda: “Siete tutti morti”, gli grida indignato, “siamo tutti morti, finché crederemo di essere vivi perché ci abbiamo le nostre stoffe, le nostre paure, i nostri affarucci, le nostre famiglie, i nostri figli, saremo morti”. Michele non vedrà la fine del conflitto, ma il suo ammonimento riecheggerà per anni nella memoria di Cesira, interpretata con toccante, dolente intensità da Caterina Costantini, che vivrà sulla sua pelle l’enorme portata della sciagura che i conflitti si portano dietro. Se è vero che i fascisti sono i primi a mettere gli occhi sull’adorata figlia Rosetta, e i nazisti quelli che portano via per sempre Michele, è tra le fila dei cosiddetti liberatori che si trovano gli stupratori della giovanissima ragazza, inutile supplicare per sperare che questi siano pietosi con due povere sfollate. Non ci suono buoni o cattivi, c’è l’orrore della guerra e da solo basta a distruggere le vite di tutti, anche di chi gli sopravvive.
In mezzo a tanta rovina, non solo materiale, non resta che l’abbraccio tra una madre e una figlia che, pur avendo perso tutto, si accorgono fra le lacrime di essere ancora vive e di poter avere un futuro.

Massimo Brigandì

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