LA COMMEDIA DELLA VANITA’

Al Teatro Argentina di Roma

Claudio Longhi, direttore dal 2017 di Emilia Romagna Teatro Fondazione e regista teatrale da sempre distintosi per il suo impegno civico, a favore della comunità umana e contro ogni forma di dittatura, espresso in brillanti spettacoli come La resistibile ascesa di Arturo Ui, Il ratto d’Europa Istruzioni per non morire in pace, porta in scena Elias Canetti, lo scrittore premio Nobel per la Letteratura nel 1981, che con la sua “commedia della vanità” ci ha offerto un testo di estrema lucidità sociale e, purtroppo per noi, sempre ostinatamente attuale.

La commedia della vanità
di Elias Canetti
traduzione Bianca Zagari
regia Claudio Longhi

con Fausto Russo Alesi, Donatella Allegro, Michele Dell’Utri
Simone Francia, Diana Manea, Eugenio Papalia, Aglaia Pappas
Franca Penone, Simone Tangolo, Jacopo Trebbi
e con Rocco Ancarola, Simone Baroni, Giorgia Iolanda Barsotti
Oreste Leone Campagner, Giulio Germano Cervi, Brigida Cesareo
Elena Natucci, Marica Nicolai, Nicoletta Nobile, Martina Tinnirello
Cristiana Tramparulo, Giulia Trivero, Massimo Vazzana
violino Renata Lacko
cimbalom Sándor Radics

drammaturgo assistente Matteo Salimbeni
assistente alla regia Elia Dal Maso
assistente ai costumi Rossana Gea Cavallo
preparazione al canto Cristina Renzetti
scene costruite nel Laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione
foto di scena Serena Pea
si ringraziano Giovanni Zagari e Giovanna Cermelli
si ringrazia per la collaborazione Luca Napoli

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Nazionale
Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro della Toscana, LAC Lugano Arte e Cultura

nell’ambito del progetto “Elias Canetti. Il secolo preso alla gola”

orari spettacolo
prima ore 20.00
martedì e venerdì ore 20.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
durata 3 ore e 45 minuti complessivi
(prima parte 1h 5′ – primo intervallo 10′
seconda parte 1h 5′ – secondo intervallo 15′
terza parte 1h 10′)

A cosa servono gli specchi? A riconoscerci, a sapere chi siamo, come stiamo, come cresciamo, come invecchiamo. Se hai ben presente chi sei ed hai piena consapevolezza del tuo io e del tuo posto nel mondo, nessuno potrà ingannarti al riguardo. Se ti vengono però sottratti gli strumenti necessari per capirlo, allora saranno gli altri a dirti chi sei, tu gli crederai e, da persona, ti trasformerai in un loro strumento, un pedone senza anima votato al sacrificio. Questo è l’avvertimento urgente che ci sussurra, con determinazione, Elias Canetti, dalle sue pagine, valido negli anni ’30 come oggi, che non v’è progresso scientifico nell’animo umano, ma, conservando da secoli le stesse debolezze, ciò che appare imperdonabile è non riconoscerle e prenderne le misure.

Un’enorme gabbia è protagonista della scenografia, un circo Barnum grottesco in cui i domatori di turno manovrano e solleticano le proprie creature. Troppa frivolezza sembra essere la causa di tutti i mali ed allora la vanità si proibisce! Mai più foto, ritratti e, appunto, specchi. Al rogo! Al rogo! Al rogo il “noi”, evviva l’”io”. Destrutturare il senso di comunità, la protezione e la serenità che ne può derivare, per favorire i capricci, le ruffianerie e gli arbìtri dell’omo forte di turno, favorendo la nascita della massa, ovvero la somma di milioni di solitudini, di paure, di frustrazioni che cercheranno conferme e rifugio non fra di esse ma contro il capro espiatorio designato, che si chiami cristiano, ebreo o immigrato, Longhi, nella sua opera, ci vuole ammonire sull’importanza dell’esercizio di lucidità del nostro pensiero, provando ad operare, se possibile, un estraniamento da questa falsa, costante esibizione di rassicurante apparenza. Lo fa con quel giusto equilibrio di ironia ed allegoria che caratterizza il suo teatro e ci scaraventa, nudi, sotto le medesime luci oscure che subiscono i suoi personaggi, cristallizzando le fragilità dei nostri tempi al cospetto della immutabile storia umana.

Ventitre interpreti, due musicisti, che riempiono il palco, la platea, le balconate, avvolgono e travolgono il pubblico, lo tengono sulle spine, lo scuotono. Dentro la gabbia ruotano le loro storie che, come piccoli criceti, continuano a vivere su loro stesse.

Un’orchestra artistica ben affiatata, una mise en scene ben recitata da tutti gli interpreti, sostenuta da maestranze d’eccellenza.

La massa, sobillata, fa scelte avventate, di cui sempre, a distanza, si pente. In tre mesi la Germania è passata dalla democrazia al nazismo, stiamo attenti a cosa ci accade intorno, mentre siamo distratti a scattarci un selfie.

Quello di Longhi è un teatro necessario, che dobbiamo portare dentro di noi e fuori, per poterlo raccontare, ognuno a nostro modo, al prossimo, per restare umani.

Enrico Vulpiani

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