LA VENERE DI BOTTICELLI IN CHIAVE BURLESQUE

Nella proposta di Sophie Sapphire

Foto Giovanni Trinchese

 

Qualche anno fa sono andata a visitare gli Uffizi e giurai a me stessa di dedicare alla “Venere di Botticelli” del tempo per assorbirne emozioni, per entrare in uno stato di grazia artistico. Quando mi sono trovata a tu per tu con il quadro, mi sono isolata dal resto del mondo. La gente che circolava, il vociare intorno nelle varie lingue, gli odori del museo, tutto scomparso. Immaginavo di essere seduta da una parte a guardare il grande artista dipingere. Provavo a “sentire” le sue emozioni attraverso i tratti che dipingeva, a “sentire” le vibrazioni con i colori che aveva scelto, provavo a “sentire” l’aria stessa che respirava. Il quadro mi è apparso vivo, e non era più l’opera che avevo tanto studiato e visto sui libri.

La Venere era lì davanti a me, con la sua imponente bellezza classica di quei tempi. Quasi potevo davvero “sentire” il suo respiro ed il fruscio dei suoi lunghi capelli, apprezzare la lucentezza dello sguardo. Ero lì. Quando sono ritornata al presente, il quadro mi è apparso nella sua realtà odierna ma con qualcosa in più per me perché ero uscita ad entrare in empatia rompendo le barriere spazio temporali.

La mimica facciale nel burlesque è, come in un quadro d’autore, la fonte di empatia per chi guarda. I movimenti del corpo, insieme con gli accenti musicali, rappresentano le parole, ma il viso è emozione pura. Una brava insegnante di burlesque mette la mimica facciale fra le prime cose da imparare, non la tralascia per ultima, perché diventa problematico correggere alla fine quando si crea poi un act, entrare in un “mood” quando si è già coreografato il pezzo, si rischia di perdere concentrazione nei movimenti, di renderli meno fluidi, perché si pensa troppo a quello che si deve fare. Invece la mimica deve risultare naturale già dal primo step. Imparare a sorridere se al pubblico vogliamo trasmettere gioia, o essere sensuali semplicemente immaginando di esserlo, o arrabbiate se il personaggio lo prevede. Da subito, immediatamente! Non si impara il bumps and Grind pensandolo come un movimento di bacino e basta. Se si prova a farlo, immaginando che quel movimento è proprio la “mossa” che rese celebre Ninì Tirabusciò ai suoi tempi, (fu poi degnamente interpretata in un film dalla nostra grandissima Monica Vitti), la cosa cambia.

Già sapendo questo, il movimento acquista un suo perché e la mimica si disegna sul volto. Il movimento non sarà perfetto all’inizio, ma sui movimenti ci si può lavorare, per le espressioni, invece, bisogna calarsi dentro da subito in modo che diventi un tutt’uno con l’act stesso. Così come la Venere ci comunica bellezza ed emozione attraverso i secoli, sul palco il viso è la tela su cui tesseremo la magia da far arrivare a chi ci guarda, insieme alla nostra anima. Bisogna sorridere veramente ed essere felici sul serio e non indossare un plastico sorrisetto di compiacimento, bisogna soffrire davvero e non mimare un finto dolore, come quando si gioca da bambini, bisogna arrabbiarsi veramente e non fingersi alterati, essere seducenti davvero e non fare le sensualone per sbaglio (non a tutte riesce di farlo perché è innata la questione!).

In sostanza per avere una buona mimica facciale in un act di burlesque bisogna cercare di attingere dalla propria anima, calarsi nel personaggio. La tecnica applicata alla disciplina rende tutto armonioso, bello, ma mai come leggere nel viso di una performer le emozioni ed averle sentite come proprie.

Marzia Bortolotti

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