RADIO AUT. LA VOCE DI PEPPINO IMPASTATO

“Radio Aut – la voce di Peppino Impastato” è il titolo scelto da Pierpaolo Saraceno per ricordare il giornalista e attivista siciliano ucciso dalla mafia nel 1978. Uno spettacolo teatrale che ha il merito di ricordare la figura di un giovane che ha dedicato la sua breve vita alla lotta alla mafia, ma allo stesso tempo un monito per tutti noi: l’illegalità si combatte non voltandoci dall’altra parte, ma guardandola negli occhi e sfidandola con i fatti.

La storia è nota: Radio Aut era una delle tanto radio libere di quegli anni (fine anni ’70), ma aveva una sua peculiarità: sorgeva a Terrasini, piccolo paesino siciliano a due passi da Palermo, luogo dove viveva uno dei boss più temuti e rispettati della mafia: Tano Badalamenti. Ma dalle frequenze di questa radio artigianale si poteva ascoltare la voce secca, diretta e sincera di un piccolo grande uomo, tanto forte da sfidare nella sua terra, martoriata dalla mafia, la sua stessa famiglia mafiosa e quel boss, che abitava a soli 100 passi da casa sua.  É in questo contesto che Peppino denuncia i vari componenti della cosiddetta “classe dirigente”, succube del potere e della mano ferma di Cosa Nostra su tutto il territorio.

Una donna cerca in tutti i modi di sviare il figlio a quello che immaginava sarebbe stato il suo destino e, per questo motivo, tenta di convincerlo ad andare in California, dove risiedono cugini di famiglia, ma nulla da fare: il figlio continuerà a lottare contro la mafia per la propria terra, la Sicilia.

Quell’uomo era Peppino Impastato, ucciso a soli trent’anni proprio su ordine del capo di “Cosa Nostra”, Gaetano Badalamenti (Don Tano), bersaglio preferito di Peppino nelle sue trasmissioni di Radio Aut. E quella donna, sua madre, Felicia Bartolotta, “alleata” del figlio contro le ritorsioni del marito mafioso.

L’ambiente scenico è diviso in due parti: da un lato la madre di Peppino che racconta, con occhi pieni di amore, il mondo del figlio, la sua lotta, la sua forza d’animo. Dall’altro, una serie di flashback, che ripropongono la vita di Peppino, le sue azioni, ma soprattutto la sua voce.

C’è quindi la raffigurazione di un dolore materno e dall’altra vari flashback di Peppino Impastato, che creano un excursus cronologico e un aspetto sempre più marcatamente di denuncia nei confronti dei personaggi tipici che si aggirano a “Mafiopoli”, come sarcasticamente Peppino chiamava il suo paese. Tanto dolore da una parte, tanta ribellione, voglia di fare, coraggio e sarcasmo dall’altra. Una madre che parla a quarta parete aperta per esprimere tale ingiustizia ma soprattutto tale dolore. Peppino Impastato che, attraverso la sua voce e il suo spirito “radiofonico”, continua a lottare per questa precisa ingiustizia: la mafia.

Lodevole il tentativo nudo e crudo di raccontare la realtà dei fatti, sottolineando l’espressione diretta verso i radio-ascoltatori ed, in questo caso, gli spettatori. Un personaggio in antitesi ai tanti “Don Abbondio” italiani, che travalica la sua dose di coraggio e punta senza pudore, ma soprattutto senza paura, a parlare ai suoi concittadini per amore della propria terra.

Sullo stesso piano si pone la madre che sviscera in maniera continua la profonda emozione dolorosa per la perdita di un figlio. Grazie alla “quarta parete” riesce a far sentire il suo dolore ancora più vicino. La scenografia è semplice e rispecchia l’adattamento, la creazione, l’intraprendenza e la fantasia di Peppino Impastato e dei suoi amici collaboratori di quel tempo. Roba tappezzata, ritrovamenti di attrezzatura radiofonica, ma soprattutto vecchi mobili al di sopra dei quali verrà appoggiata quella che per quest’uomo era fondamentale nei giovani: la Cultura.

Il tutto è stato messo in scena da soli due attori, secondo una sequenza chiara e delineata: le narrazioni radiofoniche di Peppino Impastato, le narrazioni del dolore materno di Felicia Bartolotta, fino ad arrivare alla morte dello stesso Peppino e alla disperazione della madre. Suggestiva la scena finale in cui la madre verrà accompagnata in un percorso di dolore estremo, sfidando nel bel mezzo dell’opera la morte, interpretata da un ballerino, che accompagnerà Peppino Impastato fino alla fine. Un tocco onirico ben riuscito per far viaggiare gli spettatori da una realtà terrena ad una realtà ultraterrena.

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