Regine di cartone

In scena al Teatro Marconi di Roma dal 7 al 10 novembre e poi ancora dal 14 al 17

In un sudicio vicolo, in quella che potrebbe essere una qualsiasi delle nostre città, hanno trovato rifugio tre persone, tre donne emarginate, invisibili, quelle che chiamiamo barbone. Sono estremamente diverse tra loro, accomunate solo dalla difficile esistenza che vivono: percorsi e storie differenti che hanno avuto lo stesso triste epilogo.
Gina (Angiola Baggi) è una ex attrice di mezz’età che ha calcato importanti palcoscenici e che ancora cerca di mantenere una sua traballante dignità. Parla in modo forbito, senza mai smettere di esprimersi recitando a memoria alcune delle parti interpretate in passato, e ci tiene ad un decoroso rapporto con le suore del vicino istituto. Quella che chiamano Ruvida (Maria CristinaGionta) è l’esatto contrario di Gina in quanto giovane, arrabbiata, dal linguaggio scurrile e dal comportamento poco affidabile. A fare un po’ da ago della bilancia tra le due, i cui attriti sono inevitabili, c’è Tonta (Mirella Mazzeranghi), soprannominata così perché spesso distratta, a tratti persa in un mondo tutto suo, e che con il suo candore e qualche sprazzo di gioviale follia sembra ammorbidire anche i momenti peggiori.
La loro giornata si trascina tra carabattole, la ricerca di qualcosa da mangiare e tante ore per parlare e confrontarsi. E’ così, assistendo ai loro dialoghi, che scopriamo un poco alla volta quali storie si celano dietro ognuna di esse, quali delusioni, tragedie e traumi le hanno portate nel tempo a diventare delle senza tetto, finendo dimenticate ai margini della società. Questi ricordi, questi frammenti di vita, non sono così lineari come si potrebbe credere e, ascoltando queste donne, ci si rende conto che la realtà che a noi appare è un concetto che può essere distorto fino a sembrare qualcosa di totalmente estraneo. Esiste una via d’uscita da tale squarcio metropolitano fatto di alienazione?

In scena al Teatro Marconi di Roma per due settimane consecutive, dal 7 al 10 e poi ancora dal 14 al 17 di novembre, il testo di Marina Pizzi ci mostra, con la regia di Silvio Giordani, uno spaccato esistenziale che è spesso sotto i nostri occhi ma che capita altrettanto spesso di ignorare. Le storie di queste tre donne sono fatte di amori finiti male, di tradimenti, di morti accidentali e di legami troncati nel modo più traumatico possibile. Per seguire i loro percorsi esistenziali ci vuole pazienza, è necessario fare attenzione ai momenti in cui si apre qualche spiraglio nei loro ricordi e, soprattutto durante la prima parte dello spettacolo, bisogna comprendere quello che è, a nostro avviso, il fulcro di quanto viene messo in scena. Non si tratta, in altre parole, di una vera e propria narrazione, non c’è un inizio e una fine, non c’è uno svolgimento che rende compiuta una vicenda. E’ piuttosto un’istantanea, una presa di coscienza, in cui ci si avvicina un passo alla volta alle storie che hanno condotto queste donne al loro destino: storie che però, al tempo stesso, pur particolari diventano universali. In fondo, quello che spinge alla fuga sociale queste sfortunate persone sono il più delle volte accadimenti diversissimi tra loro, certamente, ma che tuttavia hanno un denominatore comune fatto di delusioni, di tradimenti, di dolori così grandi da non poter essere affrontati, di drammi improvvisi dall’impatto profondo e irreversibile. Una volta troncato il legame col mondo è difficilissimo ritrovare una via di ritorno e, anche quando questa via viene prospettata, che sia essa una considerevole somma di denaro o un articolo di giornale che pare assolvere dalle proprie imperdonabili colpe, ebbene questa via non viene imboccata. Si rimane lì, nel vicolo, tra frammenti di vite raccontati più volte in modo diverso e chissà se poi tali fatti sono veri o se negli anni sono stati distorti fino a diventare incubi.

Pur con alcuni momenti di leggerezza, si tratta com’è chiaro di un testo profondamente malinconico, dove è difficile non empatizzare con le protagoniste, davvero bravissime tutte, desiderando per loro una svolta finalmente felice che molto probabilmente non arriverà mai. A tal proposito, un’idea molto intelligente per spingere alla riflessione il pubblico è quella di consegnare all’entrata un foglietto ad ognuno degli spettatori: in esso, al termine, va scritto cosa si vorrebbe donare a una delle tre “regine di cartone”, mettendo poi il biglietto in una delle corone che vengono fatte trovare all’uscita. E’ un ottimo sistema per scambiare emozioni e pensieri, per provare in modo attivo ad immedesimarsi nelle vicende appena viste, per sentire più vicino un vissuto che quotidianamente è lontano dalle nostre frenetiche giornate. Chissà che qualcuno di questi auguri non possa prima o poi avverarsi.

Le foto di scena sono di Tommaso Le Pera

Massimo Brigandì

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