Une vie démente

La normalità della pazzia

39° Bergamo Film Meeting

Une vie démente
di Raphaël Balboni e Ann Sirot

con Jo Deseure, Jean Le Peltier, Lucie Debay e Gilles Remiche

Il vincitore della 39a edizione del Bergamo Film Meeting è il film d’esordio di Raphaël Balboni e Ann Sirot, Une vie démente, commedia agrodolce che incanta per la sua levità nel trattare un tema considerato ‘scomodo’: le malattie neurodegenerative e il loro impatto sulla vita quotidiana di chi ne è affetto e di chi è loro vicino e se ne prende cura.

Il plot è all’apparenza semplice, ma pregno di significati e conseguenze: una giovane coppia, Alex e Noémie, decide di avere un figlio. Ma i loro piani vengono stravolti quando la madre di Alex, Suzanne, inizia a comportarsi in modo strano. La causa è proprio un disturbo degenerativo, la ‘demenza semantica’. L’avvento e la progressione della malattia costringeranno la giovane coppia a fare i conti con una realtà tutta da rifare; Suzanne diventa infatti sempre più imprevedibile e gestirla da soli non è possibile, ma anche trovare la persona giusta che se ne prenda cura ha le sue difficoltà. La ricerca assume i toni della commedia, sino alla scelta dell’improbabile Kevin che, contrariamente alle apparenze, si svela essere il ‘badante perfetto’. Ecco, i personaggi principali sono tutti in scena; quel che occorre ora è trovare “l’equilibrio in movimento” che la situazione richiede.

Alex e Noémie si ritrovano per certo verso ad essere genitori di Suzanne; una responsabilità pesante che per Alex annulla ogni altro desiderio e scopo, contrariamente a Noémie, il cui atteggiamento verso la malattia della suocera è totalmente opposto. Mentre un gioco di sfondi di verdi prati fioriti si allarga dalla tappezzeria della camera alle lenzuola e agli abiti della coppia, e il motivo ricorrente dell’Estate di Vivaldi (notevole la scelta di inserire, accanto alla versione classica, una potente cover metal) accompagna la vita quotidiana di Suzanne, i registi capovolgono il punto di vista dello spettatore sulla malattia stessa. Se inizialmente la demenza progressiva della madre pesa su Alex come una condanna, punto di vista comune nella nostra società, il diverso atteggiamento di Noémie, che coglie (e ritrae in un video con il telefonino) i momenti belli, di gioia e spensieratezza di Suzanne, spostano l’asse, mostrando da un lato l’importanza di vivere l’attimo, cogliendo ed assaporando i momenti felici, dall’altro come la malattia abbia reso Suzanne libera. Libera da quella che Nietzsche chiamerebbe la “morale degli schiavi”; Suzanne, da questo punto di vista, si presenta come una persona che supera gli schemi rigidi della nostra realtà, che sono poi quelli dettati dalla società in cui viviamo, accentuando all’estremo il suo carattere fondamentalmente spumeggiante, eclettico ed anticonformista.

“La pazzia è relativa, chi stabilisce la normalità?” scriveva Bukowski; ecco, in Une vie démente è questa la domanda che attraversa protagonisti e spettatori: la crescente effervescenza ed incontrollabilità di Suzanne (una eccezionale Jo Deseure) è inconcepibile nella nostra società piena di paletti limitanti, ma la sua follia è per certo verso una condizione privilegiata dell’anima, il ponte tra la mente umana ed il linguaggio degli dei, come veniva concepita nel contesto della cultura greca.
In quest’ottica, il primo a comprendere e a trovare un dialogo con Suzanne è proprio il ‘controbadante’ Kevin (un bravissimo Gilles Remiche), che sarà fondamentale anche per riportare equilibrio nella vita di Alex (Jean Le Peltier) e Noemie (Lucie Debay), alla luce di una ‘normalità differente’, che lascia spazio all’accettazione ed alla libertà.

Michela Aloisi

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