Titolo: Zoo
Autore: Paola Barbato
Editore: Piemme
Genere: Thriller psicologico
Pagine: 448
Trama: Immagina di risvegliarti da una notte senza sogni e di ritrovarti sdraiata su una superficie fredda e dura, i vestiti del giorno prima ancora indosso e nessun ricordo delle tue ultime ore. Intorno a te solo un buio spesso a cui lentamente lo sguardo si abitua. Cominci a intravedere delle sbarre alla tua sinistra. Non può che essere un incubo, tra poco sarai nella tua stanza, avvolta nelle soffici lenzuola di casa e la vita riprenderà come prima. Questo non è ciò che accade ad Anna, che in quella gabbia, tra quelle sbarre, in un capannone pieno di gabbie simili alla sua e di persone come lei, si risveglia per davvero. Da quell’istante inizia una lotta contro chiunque l’abbia presa, una guerra impari perché Anna non ha altre armi che la sua rabbia e la nudità a cui a poco a poco è stata costretta per combattere contro chi detiene il potere, qualcuno che nessuno ha mai visto, ma la cui presenza si avverte in ogni centimetro di quel luogo spaventoso, di giorno e di notte. Spetterà a lei, circondata da persone diversissime, alcune rese folli dal macabro gioco, altre succubi di un “Lui” dai tratti sempre meno sfumati, decidere se giocare o lasciarsi morire.
Romanzo interessante, scritto con piglio fumettistico, quasi fosse la sceneggiatura di una storia di Dylan Dog, noto indagatore dell’incubo di cui la scrittrice ne è stata sceneggiatrice per un periodo.
Zoo è il peggior incubo cui potrebbe incorrere una qualsiasi persona abituata a gestire la propria libertà e le proprie scelte in completa autonomia, perché il filo conduttore di questa storia è proprio la privazione della libertà e del proprio io attraverso la reclusione in gabbie e la deprivazione di qualsiasi brandello di umanità dei reclusi.
Il motivo di questo supplizio non è uno studio scientifico sulla regressione umana a livello di bestie feroci e ingestibili, ma la mente malata dell’aguzzino che li ha rinchiusi in carrozzoni da circo in un luogo desolato in periferia, che si occupa delle sue vittime provvedendo alla pulizia dei carrozzoni e a procurar loro del cibo senza farsi mai vedere ne tantomeno parlare con loro.
Questo romanzo, non mi ha entusiasmato particolarmente nonostante la storia molto particolare pur conoscendo l’attività fumettistica della Barbato che si riflette nello stile narrativo, stringato, secco, concitato, con frequenti suoni onomatopeici (tipici dei fumetti) e un’ambientazione grafica molto originale.
Ho trovato che la stesura del romanzo sia un po’ troppo prolissa, molto descrittiva nelle ambientazioni e nelle sensazioni dei soggetti reclusi, e a volte un po’ dispersiva tranne che per gli ultimi capitoli dove tutto accade velocemente in modo quasi compulsivo e d’un tratto arriva la conclusione della storia e le dovute spiegazioni finali purtroppo un po’ nebulose.
Nel complesso è un bel libro, a tratti angosciante, a tratti psicologicamente toccante, che fa riflettere sul nostro bene più importante (la libertà) di cui si percepisce l’importanza solo dopo averla persa.