AILAICHIT

Lontanissimo da chi si lamenta dei social sui social, AILAICHIT prende lo slancio dal cliché riconoscibile, dalla frase polemica già letta su mille bacheche e già trita, per poi spiccare il volo

Roma, Sparwasser, 17 maggio 2018

Diretto e interpretato da Claudio Losavio
Tecnico luci e suono: Simone Basile
Musica: Daniele Mannarelli
Grafica: Stefano Longo
Testo: Claudio Losavio

“Si è cercato di strappare un sorriso, si è strappata la memoria”. Colpisce ma resta fumosa, se estrapolata dalla totalità del testo, la battuta scelta per rappresentare AILAICHIT, il one-man-show di Claudio Losavio. Una commedia, un dramma, una stand-up con i toni del monologo. O un monologo stemperato con incursioni nella stand-up. Magari con spruzzate più auliche per insaporire, quando meno lo spettatore se lo aspetta.
Tutto parte dal linguaggio, vero motore di questo testo. Che si insinua per analizzare dall’interno il modo di esprimersi e di concepire la comunicazione, in presenza o virtuale, ma anche la differenza dei significati che persone diverse danno a uno stesso significante. La stessa parola, di uso comune ieri come oggi, assume valenze profondamente diverse in epoche tra loro differenti. “Dove va il linguaggio?”, sembra chiedersi Losavio. E attraverso di esso, se è vero che il modo di esprimersi rispecchia quello di essere e di pensare, dove andiamo noi tutti?

AILAICHIT ha avuto un debutto, piuttosto folgorante per chi c’era, giovedì 17 maggio. Poco più di un’ora di show serratissimo, con un testo fulminante, che non lascia tregua allo spettatore, ma lo prende e lo solleva come il vortice di una tromba d’aria nuova. Perché se da una parte Losavio analizza con grande ironia i social e le schizofrenie di chi li usa e ne abusa, dall’altra i social stessi diventano un pretesto, l’ennesima vetrina che semplicemente dà più modo alle persone di mostrare chi sono o come vogliono che gli altri li vedano. Non ce n’è più per nessuno: da chi sproloquia su quanto gli animaletti da compagnia siano più meritevoli di affetto degli esseri umani, a chi cerca di mostrarsi migliore perché abbraccia una qualche forma di ascetismo, di fanatismo, di estremismo più o meno marcato. La politica, le stragi e subito dopo i gattini. Senza soluzione di continuità, senza una gamma di priorità o di peso. Tutto viene nominato, tutto viene dissacrato, perché ogni cosa fa parte di quella “ricerca sul campo” che l’autore-attore ha compiuto preventivamente, ascoltando, parlando, domandando. Particolarmente significativo in questo senso il debutto allo Sparwasser, locale nel cuore del quartiere Pigneto. Proprio di fronte alle persone di cui parla AILAICHIT, lì ad applaudire, a ridere e costrette a riflettere.

In un testo che è un’innegabile prova di abilità per l’attore, che si destreggia passando continuamente attraverso svariati registri e serratissime assonanze, è il sarcasmo la chiave, la cifra stilistica. Una disamina che è sguardo spietato, lucido, condito da disincanto, senza però mai diventare cinico. Uno sguardo che si posa comunque benevolo, poiché annovera, forse, anche l’autore stesso. Ognuno si trova in qualche aneddoto all’interno di AILAICHIT, perché l’ipotetico “FB Man” descritto da Losavio è in fondo un personaggio reale o quantomeno possibile, ma anche una summa di tutti gli altri, il collage surreale di post che ognuno di noi ha pubblicato almeno una volta.
Si ride e molto, come in ogni stand up comedy che si rispetti. Senza tregua, fino alla mandibola dolorante. Si ride di cuore e di pancia, si ride con la testa alle battute più brillanti e si ride anche per esorcizzare l’immagine di noi stessi che Losavio ci rimanda. Perché infine ogni spettatore si rivede nei punti più malinconici, quelli che spiattellano come la decadenza linguistica sia lo specchio di un vuoto, di un nulla dilagante, di una solitudine non accettata e che andrebbe rivalutata, se riportata alla sua autentica valenza.

E in questo ridere, si procede in crescendo, sempre più catturati dal ragionamento dell’autore, dalle sue gincane attraverso i labirinti delle non-comunicazioni, dal suo ridere di tutto, criticando e mai giudicando, fino alla soluzione finale. Un monologo straziante che prende allo stomaco, una confessione pura, sincera, disarmata e disarmante, il punto più alto di un qualcosa che già era sofisticatissimo, eppure perfettamente approcciabile da chiunque. Lontanissimo da chi si lamenta dei social sui social, AILAICHIT prende lo slancio dal cliché riconoscibile, dalla frase polemica già letta su mille bacheche e già trita, per poi spiccare il volo, verso una risata che tutto purifica. Purché continuiate a pensarci anche una volta fuori.

Federica Aliano

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