Presentato alla 12a edizione del Festival del Cinema Spagnolo presso il cinema Farnese di Roma, nella splendida cornice di Campo de’ fiori, il film di Javier Fesser, Campeones, vincitore del Premio Goya 2019 come miglior film, diverte, commuove, fa riflettere, coinvolge il pubblico in una commedia sullo sport, la disabilità e l’integrazione che arriva diretta al cuore ed alla pancia dello spettatore.
Marco Montes, arrogante vice allenatore di una squadra di basket professionista, viene arrestato per guida in stato di ebbrezza e condannato ai servizi sociali, che consistono nell’allenare una squadra di pallacanestro di persone con disabilità intellettiva. Il tema forse non è del tutto originale, ma il risultato è sorprendente. Il film tratta con empatia e leggerezza argomenti importanti; non solo la disabilità e l’integrazione, ma anche l’importanza del gioco di squadra e lo spirito decoubertiano dello sport. Leggerezza che filtra già dai titoli di testa, colorati ed accattivanti, per proseguire con un inizio scoppiettante e frizzante che dà il ritmo che rimarrà per tutta la durata del film, intermezzato da momenti empatici di riflessione e commozione profonda che colpiscono senza eccedere in buonismo e mielosità. Il tutto condito da una colonna sonora accattivante, che accompagna il protagonista in questo suo tragitto di vita e crescita interiore.
Del tema dei disabili e lo sport, in particolare delle Paralimpiadi da essi disputate, si era parlato allo scorso Ravenna Nightmare con il documentario Il rumore della vittoria, dedicato alla sordità; in Campeones, le Paralimpiadi vengono appena menzionate, ma per toccare altri punti delicati: la strumentalizzazione dello sport a fini squisitamente economici e la mancanza di scrupoli di alcuni allenatori.
Il regista lo fa raccontando la storia di Ramon, giocatore di basket di alto livello, vincitore di una medaglia ai Giochi Paralimpici, che Marco vorrebbe inserire in squadra ma che è diffidente a causa della disonestà dell’allenatore che lo aveva portato alle Paralimpiadi con una squadra in cui i veri disabili erano solo due, motivo di squalifica della stessa e della perdita della medaglia conquistata da Ramon con sudore e passione.
In tutto questo, Marco imparerà a capire, apprezzare ed amare i suoi ragazzi; la sua squadra, il cui nome simbolico è Los Amigos, porterà nella sua vita la comprensione dei sentimenti veri e la bellezza dello sport, che De Coubertin auspicava: l’importanza del partecipare, non di vincere. E Los Amigos vinceranno, uniti come mai prima, arrivando sino alla finale. Una finale che non avrebbero potuto giocare, disputandosi nelle Canarie. Ma Marco riuscirà a portarli fino in fondo. Contro Los Nanos la sfida sarà sul filo di lana fino all’ultimo secondo. Ma l’importante non è il risultato. Quale delle due squadre attiverà prima, l’altra sarà ugualmente felice. E proprio questo abbraccio entusiasta delle due squadre sotto lo sguardo incredulo di Marco gli rivelerà finalmente il senso vero della competizione e l’importanza di sentirsi una squadra. E qui ritroverà l’unione con la moglie Sonia; nel film infatti si intreccia anche la vita privata di Marco, in crisi con Sonia, che rientrerà nella sua vita proprio grazie alla squadra, nella cui avventura sportiva ella verrà felicemente coinvolta. Perché, alla fine, anche Sonia e Marco sono una squadra. Unita per vincere. Non una medaglia, ma la loro felicità.
Michela Aloisi