Il ’68 cinquant’anni dopo. Diamo l’assalto al cielo

In occasione del cinquantesimo anniversario dell’anno che in diversi modi e maniere ha cambiato la società contemporanea fino ai giorni nostri – stiamo parlando del 1968, s’intende – l’associazione culturale ‘Incontri Esistenziali’ ha inscenato uno spettacolo inedito, straordinario, che significa letteralmente fuori dal comune.

A ben guardarci infatti, se nel 2018 i numerosi eventi sulla ricorrenza del ’68 sono stati principalmente fondati su una ricostruzione filologica orientata per lo più a rendere – in modo accanito e caparbio – giustizia alle vicende di quegli anni, lo spettacolo musicale che giovedì 19 luglio ha animato il prato Illumia (sponsor dell’evento) in Via de’ Carracci ha rivelato tutt’altra storia. O forse sarebbe più corretto dire tutt’altra prospettiva sulla storia. Diamo l’assalto al cielo nasce per rendere il meta-significato della stagione delle rivolte studentesche, così attuale oggi, e stringente. Stringente: perché il significato che ebbero quei movimenti nel mondo di allora, illumina in maniera sconcertante il mondo di ora. Urge comprenderlo.

Innanzitutto il titolo. Diamo l’assalto al cielo è un titolo in tre tempi, ognuno dei quali spiega lo spirito e l’angolo prospettico da cui si è guardato a i cosiddetti ‘anni della contestazione’: Diamo trasmette il senso di un gesto comunitario, suggestivo ed esortativo; l’assalto ha una doppia valenza: allude certo al tenore ideologico di quegli anni, più volte – si sa – degenerato in violenza, ma porta con sé anche la baldanza della gioventù, quella sua attitudine disinvolta, decisa, e solo talvolta spregiudicata. In ultimo, il cielo che riporta in alto gli sguardi: la tensione a qualcosa di più; di più bello, di più grande.

Così spiega il titolo e l’idea Francesco Bernardi, presidente dell’Associazione Culturale per gli Incontri Esistenziali (https://www.incontriesistenziali.org), ideatore dello spettacolo. La domanda che sta alla base di questo evento è la seguente: il ’68 ha vinto o ha perso? Risponde il sottotitolo: Diamo l’assalto al cielo. Perché il ’68 ha vinto tutte le battaglie ma ha perso la guerra. Senza entrare in un vicolo cieco, tentando una risposta esclusivamente storica, l’atteggiamento serio di fronte a tale domanda deve aprire lo sguardo all’umano, tutto, nel suo insieme. “La tentazione più umana per chi è generoso e intelligente è di pensare che l’uomo è buono ed è solo a causa dell’errore di qualcuno (la politica, il potere nelle mani di pochi) che le cose non funzionano. Se dunque si cambia l’organizzazione della società e si da il potere a tutti, l’uomo finalmente potrà manifestare tutta la sua positività ed essere allora felice” – sostiene ancora Bernardi. La realtà però ha presto disilluso chi aveva riposto la sua fiducia nel sistema perfetto. Le rivoluzioni non hanno funzionato come avrebbero dovuto (o come si sarebbe voluto che funzionassero). Il fallimento percepito ha generato tre atteggiamenti, che peraltro riviviamo vivissimi ai giorni nostri: velleitario, quello del ‘non ce l’abbiamo fatta, ma dovremo essere e saremo più forti la prossima volta; rinunciatario, l’amara e presunta consapevolezza che sia impossibile cambiare il mondo; e infine l’atteggiamento cinico del ‘nulla ha senso’. I velleitari sono sempre meno, mentre i cinici e i rinunciatari sono sempre di più. “Esattamente per questo – scrive l’ideatore – ci interessa il ’68 e la sua straordinaria attualità. Perché l’errore di prospettiva di allora non solo ha prodotto la fuga da ogni responsabilità (si pensi ad esempio alla sempre più declinante percentuale dei votanti italiani) e sta promuovendo un grave egoismo sociale, ma sta cancellando ogni fermento e ogni possibilità di speranza per il futuro. Era quello del ‘68 appunto un errore di prospettiva; la gravità delle conseguenze però non annulla la freschezza di quei fermenti sul cui sogno noi vorremmo sintonizzarci”.

E così è stato: lo spettacolo è stato infatti uno spettacolo musicale. Ha giocato principalmente sulle suggestioni, le influenze che la musica porta con sé: ampi orizzonti, la gioia irrefrenabile, il sapore e il gusto dell’impossibile – la volontà sacrosanta e umana di voler guardare sempre un po’ più in là, del volere abbattere le strette barriere degli ordini (pre)costituiti e (pre)determinati.

“A 50 anni di distanza, a noi sembra che oggi ci sia ancora una volta la stessa illusione del ’68, la stessa svista antropologica, che ci fa pensare che l’uomo nuovo possa essere il frutto di nuove regole. Questa è la tesi dell’evento, proposta con il linguaggio leggero e ricreativo della musica, in una serata estiva, sotto le stelle […]. Un’esperienza intensa composta da un racconto di canzoni dal vivo, ma non solo, che ripercorrerà l’entusiasmante parabola di un periodo ricco di avvenimenti che hanno per sempre cambiato la storia”.

L’evento è stato il frutto di un lungo lavoro che ha nomi e cognomi: la regia di Emmanuel Exitu, il progetto e la realizzazione grafici dell’agenzia Blossom, la scenografia di Mazzei Desiré, il coordinamento scientifico e tecnico di Lucia Gaudenzi, la produzione di Raffaella Ricci, consulenza musicale di Valentina Carrino, e ovviamente un lavoro approfondito sui contenuti: Claudio Risè, Sergio Belardinelli, Ivo Colozzi, Pier Alberto Bertazzi, Aldo Brandirali.

Vorrei chiosare citando un grandissimo poeta del modernismo inglese, Thomas Stearns Eliot:

Il mondo rotea e il mondo cambia,
Ma una cosa non cambia.
In tutti i miei anni una cosa non cambia.
Comunque la mascheriate, questa cosa non cambia:
La lotta perpetua del Bene e del Male.

[…]

Essi (gli uomini) cercano sempre d’evadere
Dal buio esterno e interiore
Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere
buono.

[Da Choruses from the Rock]

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