Intervista a Sara Pallini

Protagonista dello spettacolo teatrale “Pazza D'amore”, tratto da un testo di Dacia Maraini. Scopriamone di più su Sara Pallini.

Pazza D'amorePazza D’Amore” è lo spettacolo che hai portato in scena, scritto da Dacia Maraini. In che modo vi siete incontrate e come nasce l’idea dello spettacolo?
Ho conosciuto la Signora Maraini circa quattro anni fa per un provino che poi ebbe esito positivo ed è stato foriero di una assidua e piacevole collaborazione.

Un “incontro” molto professionale ma che fin da subito mi lasciava intuire una profonda sintonia di animi.

Successivamente, da colloqui informali, ho scoperto la comune passione per la cultura giapponese da cui entrambe, per vie completamente diverse, siamo state influenzate fin dall’infanzia.

Ma non è solo questo, che pure significa molto per me, è anche uno smisurato profondissimo amore per la parola, intesa come suono prima ancora che significato, parola che fa compagnia al suo semplice manifestarsi in quanto pura epifania di suono. Un’affermazione come questa può sembrare un paradosso, non tanto per quel che riguarda me e le ragioni più profonde del mio “fare teatro”, ma se consideriamo il fatto che la Maraini è un’autrice impegnata, di teatro, di letteratura, le cui opere hanno un valore proprio in quanto portatrici di un messaggio, che mai vuole essere predicatorio o definitivo e sempre lascia posto alla riflessione del lettore o dello spettatore, aperto il dubbio.

Credo che l’amore smisurato che Dacia abbia nei confronti del teatro, mezzo d’espressione artistica e di comunicazione pura, in cui lei ha ricoperto quasi tutti i compiti fin da giovanissima, sia proprio la conferma di quanto ho cercato di esprimere prima, mentre spiegavo il valore profondo che lei dà alla parola pronunciata più che pensata, letta o scritta.

In questi anni ho letto praticamente tutto il suo teatro e molta sua letteratura, attraverso le sue parole ho imparato a conoscerla meglio, poiché credo che un autore si possa comprendere essenzialmente attraverso le sue opere più che dalle critiche scritte su di lui e poi, quando possibile, attraverso la frequentazione diretta ovviamente.

Sono quattro i testi della Maraini che oramai interpreto, in tutti i suoi testi la figura femminile occupa sempre un certo rilievo, nei sensi/direzioni più diverse, ma quando ho letto “Pazza d’amore” ho capito che proprio quel testo, in questo momento volevo interpretare.

Dunque sono stata io a proporlo a lei, che fin da subito ha sposato il progetto.

Renza, la protagonista del tuo spettacolo è una prostituta che narra la sua storia in un salotto televisivo, vittima di un cinico e “spietato” regista-intervistatore che cerca a tutti i costi uno scoop, anzichè conoscere la sua vera storia. Un duplice messaggio univoco che mette in evidenza sia la smania di far notizia a tutti i costi -seppur nel modo sbagliato- sia quella di una mentalità ancora troppo maschilista che regna nel nostro paese. Come affronta Renza questa situazione e come ne esce fuori?
Il personaggio di Renza mi ha affascinato fin dalla prima lettura. Una prostituta che conosce le bassezze e le macchie del mondo, ma che tuttavia riesce a volare alto, sopra la sporcizia da cui proviene, che le dà un “peso” esistenziale senza toglierle quella leggerezza genuina, legata non tanto ad una superficialità dell’animo, quanto ad una ingenuità tipica di chi ha avuto un “clic”, una forte rottura nella propria infanzia.

E’ questa sua svagatezza che la rende una aliena fin dal primo passo nello studio televisivo in cui si ritrova catapultata, ed è la sua inadeguatezza, pur nonostante le velleità di eleganza e di nonchalance, che ce la fa amare a prima vista.

Renza è simpatica pure se dice e racconta cose turpi, e affascina anche il regista-intervistatore che, seppure spazientito dalle sue continue interruzioni e domande, tuttavia la ascolta con grande curiosità e fascino.

E quando continuamente lei perde il filo del flusso di coscienza non sappiamo perché e se davvero dimentica oppure non vuole inconsciamente ricordare.

Attraverso i racconti che lei fa delle sue relazioni con i clienti, uomini, e attraverso il rapporto col regista-intervistatore viene messa in luce non solo la mentalità pur tuttavia ancora maschilista della nostra società, che riduce a oggetto da vendere il corpo della donna, ma anche la tendenza a mercificare reificando appunto, rendendo cose, persino le anime delle persone.

La protagonista ne è inconsciamente consapevole, se posso dire così, in quanto non considera merce in vendita il proprio corpo o la propria storia, poiché per lei è consuetudine ciò che racconta del proprio passato, familiare e del mestiere che esercita da una vita. Quello che invece non è parte della sua consuetudine è il segreto che svela durante l’intervista, di un amore puro e quasi angelicato nei confronti di due amiche, e in particolare di una, Mara, che stima sopra ogni cosa, la quale appunto non deve sapere della sua altra amicizia intima con Pilar.

Questo segreto per Renza è la cosa più importante al mondo, che nel suo inconscio non può, non deve essere reificata o comprata.

A tal punto che nel finale, quando il regista le assicura di cancellare il servizio in cambio di un rapporto sessuale (“qui, subito e gratis”), di fronte al ricatto per lei è normale consuetudine accettare, in nome di qualcosa di più alto come il suo amore per Mara.

Come ti sei preparata per portare in scena questo personaggio?
Abbiamo lavorato molto a tavolino con il regista Emanuele Vezzoli, per comprendere a pieno il significato della valanga di frasi che escono dalla bocca di Renza, a volte così disordinatamente, a volte invece tanto liricamente, altre volte ancora volgarmente, nel senso latino del termine. Non dimentichiamo che Renza viene dal popolo e perciò è capace tanto di momenti di grande poetica saggezza quanto di mero turpiloquio.

Ci sono tanti infiniti modi di lavorare ad un personaggio, in questo caso soffermarsi più a lungo sul lavoro a tavolino mi è servito molto anche ad acquisire dimestichezza con le tante voci/persone sia maschili che femminili che si esprimono attraverso la unica voce di Renza.

Non sto parlando di “vocine” diverse tra loro riconducibili ad un cliché sonoro, ma di voci che istintivamente si riproducono passando alternativamente dalla prima alla terza persona, come quando si parla di sé attraverso il discorso sia diretto che indiretto. Quando poi siamo andati in piedi nello spazio ovviamente il personaggio ha preso ancora più sfumature e si è sviluppata maggiormente la relazione sia con il regista, interpretato da Matteo Castellino, sia con le luci dello studio televisivo con le quali la protagonista ha un vero e proprio rapporto di amore e odio, stupendosi e subendo i bui improvvisi che vengono dati a causa delle sue ripetute gaffe, fino poi addirittura a pretendere la luce sul palco dando lei stessa ordini al tecnico delle luci.

Si è da poco concluso il tour romano dello spettacolo: tiriamo le somme. Come il pubblico ha reagito? C’erano molte donne sostenitrici? E gli uomini hanno avuto modo di riflettere?
Il pubblico varia ogni sera, banale a dirsi ma è così.

Ho percepito sempre una buona partecipazione, con coinvolgimenti emotivi diversi che hanno spaziato dal divertito al commosso.

Di certo l’affluenza è stata costante e l’atteggiamento maschilista che emerge dal testo ha equamente sensibilizzato pubblico maschile e femminile.

Dove porterai ora in scena “Pazza D’Amore“?
Poiché il debutto è andato molto bene lo spettacolo verrà sicuramente riproposto nella stagione invernale a Roma.

Contemporaneamente c’è un progetto di tournée italiana, nonché di inserimento del lavoro all’interno di rassegne, soprattutto estive, dedicate al teatro marainiano. Ma non mi sento di potere anticipare di più per il momento.

Parliamo un pò di te: come nasce la tua passione per il teatro?
La passione per il teatro nasce da un’esigenza profonda di comunione, di compagnia che ci viene dal suono e dall’energia dei corpi e delle parole che hanno il potere di fare una magia, ovvero ridare vita a qualcosa che non c’è più o, forse, non è mai esistito.

Come diceva Strehler il teatro nasce dal bisogno di sopperire alla solitudine profonda che è dentro ognuno di noi, o come dice anche Barba nel suo libro che si intitola proprio così, il teatro è “solitudine, mestiere, rivolta”.

Sono anni che percorro questa via, continuando a studiare sempre, ecletticamente molte altre arti, ma soprattutto me stessa.

Quando mi sono confessata questa passione ero in realtà già grande, eppure i miei studi e le mie poesie sul teatro risalgono a molti anni prima, e già allora nel mio inconscio c’era questo desiderio tutto umano di giocare ancora l’eterno gioco del “facciamo che tu eri M ed io ero W ?”.

La mia passione per il teatro è puro amore per la vita, ed è anche paradossalmente nostalgia (dal greco, dolore del ritorno), amore del rito che attraverso la sua ripetizione ogni sera avvalora il mio presente qui ed ora, non uccidendo il passato, né osannandolo, semplicemente conoscendolo, perché da esso veniamo.

Amo il teatro perché in esso vedo le mie radici e senza radici non si vola.

Quali sono le donne che più stimi e quelle da cui trai ispirazione?
Ci sono molte attrici che stimo anche come donne perché spesso fortunatamente le due sfere non sono così lontane.

Tuttavia non mi sento di riferirmi in particolare a nessuna, perché la vera conoscenza richiede una frequentazione costante e diretta. Di fatto anche i personaggi femminili che ho amato nel corso degli anni, posso dire di averli conosciuti davvero solo dopo averli messi in scena.

Sicuramente la persona di Dacia Maraini, che ho il privilegio di frequentare, è per me molto di più che una donna che stimo o da cui traggo ispirazione, è anzi una della poche figure femminili che posso considerare “maestro”, nel senso pieno del termine.

Progetti futuri?
Recitare.

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