IL GRANDE GATSBY DAL ROMANZO DI SCOTT FITGERALD UN FILM SULLA SPERANZA E L’IMMAGINAZIONE

DAL ROMANZO DI SCOTT FITGERALD UN FILM SULLA SPERANZA E L'IMMAGINAZIONE

TITOLO ORIGINALE : The great Gatsby
GENERE: Drammatico, romantico
REGIA: Baz Luhrmann
SOGGETTO : Francis Scott Fitzgerald
SCENEGGIATURA: Baz Luhrmann, Craig Pearce
ATTORI: Leonardo DiCaprio – Carey Mulligan – Isla Fisher – Joel Edgerton – Tobey Maguire – Gemma Ward – Amitabh Bachchan – Callan McAuliffe – Jason Clarke – Daniel Newman – Elizabeth Debicki – Jack Thompson – Jacek Koman – Stephen James King – Max Cullen
FOTOGRAFIA: Simon Duggan
MONTAGGIO: Jason Ballantine, Jonathan Redmond, Matt Villa
MUSICHE: Craig Armstrong
PRODUZIONE: Bazmark Films, Red Wagon Productions
DISTRIBUZIONE: Warner Bros
PAESE: USA 2013
DURATA: 143 Min

TRAMA: Tratto dal celebre romanzo di Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby” narra la storia di  Nick Carraway, che, trasferitosi a New York, stringe amicizia col discusso e misterioso milionario Jay Gatsby, vicino di casa e famoso per l’organizzazione si sfavillanti feste. Sono gli anni venti, l’epoca in cui il sogno americano è corrotto dal Dio denaro e attraversato da corruzione strisciante e dubbia moralità. In cerca del suo personale sogno, Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei super-ricchi, le loro illusioni, i loro amori ed i loro inganni.

Uno specchio fedele dei nostri tempi. La chiave del film infatti è proprio la tensione verso un passato impossibile da riprodurre. Nell’opera “visionaria” di Baz Luhrmann eccedono gli spunti visivi ed estetici:  costumi fastosi, scenografie sgargianti, feste esaltanti,  cantanti, ballerine, persone gaudenti che accorrono nel castello di Jay Gatsby (Leonardo Di Caprio) in preda a un raptus di sovra-eccitamento. Il tutto è potenziato da una volutamente anacronistica colonna sonora, densa di hip hop e disco dance, che vanno a sostituire i ritmi marcatamente jazz degli “anni ruggenti”.

I musicologi spiegano che la musica jazz ­rappresenta, inconsciamente, un’autocritica collettiva, segna il carattere corruttivo e volgare di quel periodo, quando tutta quella brama di vivere finirà in tragedia (la grande crisi del ’29).  Forse il regista, utilizzando le musiche scelte da Craig Armstrong (che spaziano da J-Az a Beyoncé), ci vuole disegnare un affresco della nostra contemporanea volgarità in termini di paralleli sillogismi?

Stesso discorso per le riprese aeree, che dai grattacieli di Manhattan cadono a picco su Wall Street, anacronistiche anch’esse,  ma che spiazzano positivamente lo spettatore, e ammoniscono – ieri come oggi – sulla precarietà dell’uomo all’interno della società.

Le scene ridondanti, sature di colori e sopra le righe sono il marchio di fabbrica di Baz Luhrmann (già autore di Romeo+Giulietta e Moulin Rouge). Ma appena champagne e intrattenimento lasciano spazio all’intimismo, il regista cerca il senso del film in una storia d’amore ormai avulsa dal contesto, tanto da soffocare l’identità solitaria di Gatsby e perdendo di vista la sua lucida follia romantica.

La storia scivola via lasciando più un senso di disorientamento e incertezza che di commozione e stupore. L’amore impossibile di Gatsby per la “fragile”, ma pur sempre opportunista Daisy, risveglia emozioni forti ma effimere, che lasciano un senso di vuoto e vaghezza allo spettatore. Le grandi feste diventano il centro motore del film, annullandone il valore drammatico, che, infatti, emerge solo nel finale restando ad ogni modo sospeso nella cifra espressiva del film.

Poteva essere una seria riflessione sulla qualità del sogno americano, ma, nonostante un cast di grande richiamo e una produzione ricca di ingenti mezzi, resta una certa convenzionalità di genere, che finirà per attenuare di molto il portato della forma principale del film, dichiaratamente scenografica.

Resta inspiegabile, infine, l’utilizzo del 3D, che non aggiunge nulla alla visione complessiva del film. Come ormai in molti altri casi, si sussurra che il prezzo maggiorato della visione 3D serva, tutto sommato, a far lievitare i dati degli incassi.

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