L’occhio del Vate

Nel romanzo di Carlomanno Adinolfi un'appassionante detection, sospesa tra D’Annunzio e il Tradizionalismo Romano, accompagna il lettore come in un viaggio iniziatico

Titolo: L’occhio del Vate
Autore: Carlomanno Adinolfi
Altaforte Edizioni
Brossura 15 x 21 cm.
Pagine: 292
In commercio dal dicembre 2019

Intro: Un cacciatore senza scrupoli di testi antichi e libri rari, l’incarico di risolvere un oscuro enigma legato a Le Vergini delle Rocce di D’Annunzio, un medaglione appartenuto proprio al Vate. Un intreccio di ricerche, enigmi che porteranno Valerio Pillari nei dedali di un segreto forse legato alle occulte società esoteriche degli anni ’20 e ’30 e alle forze arcane che tentarono di influenzare gli esiti delle due Guerre Mondiali. Una vicenda che si scoprirà affondare le radici ancora più indietro nei secoli, in una catena ininterrotta di eventi a ritroso che porta fino alle origini di Roma e della stirpe italica.

Fate attenzione che il vostro fuoco non si spenga
neanche per un momento,
perché se una volta la materia diventa fredda,
la perdita dell’opera ne seguirà immancabilmente
Ireneo Filalete, Regole del Filalete, in La Via Ermetica (AHKU), Edizioni Rebis, Viareggio 2011

Luca Valentini (EreticaMente) con l’autore del libro, durante una presentazione

Pensiero e azione. Entrambi gli elementi sono presenti in dosi massicce, all’interno di questa avvincente narrazione, che ha anche il merito di far dialogare una solida impalcatura di genere con temi storici, politici ed iniziatici di inusitato spessore. Ogni pagina del romanzo di Carlomanno Adinolfi spinge verso l’avventura come anche verso un’impressionante sequenza di scoperte intellettuali, di ardite ma comunque filologicamente corrette immersioni nel passato dell’Italia, nella sua stratificata cultura. E tutto ciò contribuisce a rendere davvero appassionante la lettura del libro.

Gabriele D’Annunzio

L’occhio del Vate, pubblicato sul finire del 2019 da Altaforte Edizioni (e già presentato in diverse città italiane), fa riferimento sin dal titolo a Gabriele D’Annunzio, alle sue mirabili imprese letterarie o d’altra natura; ma la figura del Vate è solo una tra le tante tessere di un mosaico molto più ampio. L’arcana detection condotta, in un crescendo di tensione praticamente inarrestabile, dal protagonista Valerio Pillari, è infatti pretesto di affascinanti incursioni in testi legati all’umanesimo rinascimentale come pure in altri, differenti ambiti misterici: un tuffo vertiginoso, che trascina a capofitto il lettore nello studio delle attività condotte dal cosiddetto Gruppo di Ur o da altre realtà dell’esoterismo italiano di inizio Novecento, in intrighi legati alla massoneria internazionale e alle oscure manovre di qualche fanatico cardinale, come anche in una riscoperta del Tradizionalismo Romano dai risvolti fatalmente soterici. Aspetto, questo, destinato ad assumere contorni davvero esaltanti, almeno ai nostri occhi.
La bibliofilia di fondo del romanzo è del resto una delle chiavi di lettura più stimolanti. Dando sfoggio di una preparazione culturale alquanto varia, eclettica, l’autore si compiace di disseminare il racconto di molteplici indizi, la cui trattazione non è mai superficiale; indizi che vanno da un’attenta parafrasi dell’allegoria rinascimentale di Francesco Colonna, quella Hypnerotomachia Poliphili che tanto ha fatto dibattere gli studiosi, all’ardito excursus sul culto infero del Vulcano laziale e su altre teorie formulate da personaggi ormai quasi dimenticati come Guido Di Nardo ed Evelino Leonardi, relativamente alle più antiche popolazioni italiche. Il mito atlantideo ricollocato nella nostra penisola, solo per fare un esempio.

Man mano che ci si immerge nella lettura scatta la magia. Anche perché, come si è fatto cenno all’inizio, sul colto sostrato filosofico, storico e letterario de L’occhio del vate si innesta poi con naturalezza l’azione, un’azione descritta con immagini talmente vivide da ricordare un po’ la narrazione cinematografica e un po’ le tavole di un fumetto d’avventura, laddove il lontano ricordo delle storie de L’Intrepido si sovrappone, nel sottoscritto, alla più recente (e sempre più immaginifica) epopea bonelliana di Dampyr. Sicari privi di scrupoli, un medaglione dall’immenso potere, rimandi all’esperienza fiumana e una indimenticabile femme fatale, tra i tanti ingredienti di suddetta storia: una narrazione dal godibile taglio cinematografico, si diceva, non solo per lo stile spigliato di Carlomanno Adinolfi (che aveva già esordito con un romanzo riconducibile alla scrittura di genere, Il sole dell’Impero), ma anche per un corredo citazionistico ugualmente sapido. E se i riferimenti a La nona porta di Polanski (o meglio, al romanzo che lo ispirò), considerando la trama e l’approccio assai disinvolto del protagonista Valerio Pillari alla professione, possono anche rientrare nel prevedibile, si viene colti piacevolmente di sorpresa dall’arguta citazione di Zardoz, la distopica e misconosciuta pellicola di John Boorman che conta comunque su un ristretto (ma agguerritissimo) pubblico di cultori. Altrettanto forte, al termine della lettura, sarà l’entusiasmo di chi si riconosce in certi richiami identitari e nel sempiterno nome di Roma: oltre a D’Annunzio anche l’Urbe, con la sua storia millenaria, con la sua aura sacrale, può dirsi protagonista. Roma Renovata Resurgat, finché il nostro mondo una luce ancora veda.

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