Buio in sala. Qualche secondo di completo ed assoluto silenzio. Poi una voce, una nota vocale di quelle che si registrano sul cellulare esplode nelle orecchie di chi sta assistendo. Una voce di donna, squillante, calda, vibrante e viva! La voce si racconta, parla del calvario iniziato dieci anni fa, quando la malattia non era palesata, nemmeno lontanamente sospettata dalla protagonista, quando la parola “morbo di Parkinson” era una delle tante sconosciute patologie che si possono trovare anche su Wikipedia. La voce è di Laura e la storia è la sua.
Mentre la nota vocale va, un essere strisciante avanza sul palco. È un orco, una bestia, un mostro, è la rappresentazione visiva della malattia e per tutta la durata dello spettacolo sarà presente in scena, alternandosi ai personaggi che hanno dipinto con larghe pennellate vermiglie questa storia. Una storia che prende letteralmente a schiaffi chi assiste. Perché a volte per svegliarci dai nostri stupidi ed irrilevanti problemi quotidiani abbiamo bisogno di schiaffi. Proprio come il medico fa sul neonato quando nasce, lo schiaffeggia per fargli prendere aria ai polmoni e mettere in moto la vita.
Ecco il senso della storia di Laura è questo, lo stare in scena con la sua presenza, protagonista di sé stessa, è tutto qui. Schiaffeggiare e portare a conoscenza chiunque della malattia e non solo, far intendere che nonostante sia una patologia ancora non capita e risolta si può trovare una via di uscita, una fuga, dalle braccia dell’orco. Dopo lo schiaffo arriva l’attimo di incredulità: ma come, tu non mi conosci e mi schiaffeggi, mi fai sentire fortunata? Ma guarda che anche io ho problemi, anche io lotto , anche io provo a vivere. Tu schiaffeggi me? Io sono venuta a vederti e tu dal palco mi schiaffeggi? Si lo fai, ed hai ragione, fai bene, è giusto ed io piango, piango per te, e per me e ti chiedo scusa anche se non ti conosco, scusa della mia incosapevolezza di vivere agiatamente. Ho problemi come tutti ma non sono i tuoi, non lotto costantemente con un orco ovunque io vada, che mi abbraccia da dietro, mi carezza come un amante voglioso.
Quello che c’è di peggio, racconta Laura, ancor di più della malattia, sono i farmaci, quelli che dovrebbero aiutare, invece sono loro stessi causa di terribili dolori, non solo fisici e di tremendi comportamenti. Perché diventa egoista, lei che è sempre stata generosa, diventa bulimica sessualmente, avida di rapporti perché avida d’amore e lo cerca la notte nei locali, dove va a ballare, dove incontra sconosciuti e ruba loro momenti di gioia fisica, che si esaurisce in breve senza appagamento.
Questo atteggiamento le fa perdere l’amore dell’uomo della sua vita, che invece è in scena a raccontarsi con lei. Perché l’amore vero non muore mai. Si spegne, come dice lei, ma non muore ed ha bisogno di cure per farlo rinascere. L’uomo che la ama comprende e soffre, ed alla fine l’accoglie, cura lei ed il loro amore. Ci schiaffeggia anche lui. Si siede sul palco, quasi in mezzo a noi, si racconta, ci parla come a degli amici, come durante quelle serate dopo cena in cui ci si accomoda sul divano e con un bicchiere di vino in mano si parla con tranquillità, confessandosi senza vergogna, senza paura ma sempre con sofferenza, perché non è mai facile aprirsi.
In scena con Laura anche la sorella, colei che in questo percorso l’ha tenuta per mano sempre, come facevano da piccole. Non pensate che in tutta questa sofferenza espressa in scena ci sia stato posto solo per il dolore e la tristezza. Laura è un fiore, un’orchidea, da qui il nome dell’opera teatrale orco + dea a sottolineare la presenza del mostro e della bellezza di Laura, un gioco di parole che riassume tutto il concetto, un fiore che tanto lei ama tanto da acquistarne più di trentacinque piante.
La protagonista passa dalle lacrime al sorriso, alla leggerezza dell’animo, all’allegria. Perché lei è così e l’orco nonostante ci abbia provato non ha potuto strapparle questi gioielli, non solo, lei l’orco lo sbeffeggia pure, più lui le si avventa addosso stancandola fisicamente, più lei rafforza il suo io proprio con il dolore. Laura si nutre del proprio dolore e lo trasforma in un meraviglioso fiore. Tutto questo è resilienza, ed è bellissimo. Come il medico che schiaffeggia il neonato per fargli prendere aria ai polmoni e portarlo alla vita, così lo spettatore prende coscienza e torna a casa in silenzio e frastornato conscio di essere e di avere molto di più di quanto credeva, grato dello schiaffo, grato alla vita, della propria vita, grato a Laura.
Marzia Bortolotti
Cosa sappiamo del Parkinson?
Delle conseguenze che esso provoca? Sono queste le domande che si è posta Mariaelena Masetti Zannini quando qualche mese fa ha conosciuto Laura Rinaldoni.
Quarantaseienne con diagnosi di Parkinson risalente a 10 anni fa.
La conosce, la frequenta, diventano amiche. E da lì nasce l’idea di raccontare verità che molti non sanno.
L’autrice e regista, già conosciuta nell’ambito teatrale per lavori come SS, Musami o Vate alle colonne del Vizio, Parole dal cielo, Il paradiso delle Vergini, Piccole donne freak.
Opere sul mare come Ora Era L’ira a Capri ed Eroideide a Castellammare del Golfo, decide di mettere in scena Orchidea, storia di un fiore malato ad una sola condizione: che sia la stessa Laura a portarlo in scena.
Il lavoro, sul palco del Teatro Tordinona dal 9 al 12 gennaio, diventa, quindi, il racconto della vita della Rinaldoni, che confessa emozioni a caldo ed esperienze di vita forti, spesso estreme, legate alla sessualità e al dramma farmacologico che scatena in questa malattia impulsi violenti, autolesionisti ma al contempo vibranti di energia creativa.
Sul palco del Teatro Tordinona le parole della protagonista, attraverso audio originali che negli anni ha tenuto gelosamente nascosti come un diario segreto e che ora, come un film onirico, attraverso la drammaturgia di quest’opera, prendono vita sul palcoscenico.
OrchiDea, storia di un fiore malato
uno spettacolo scritto e diretto da Mariaelena Masetti Zannini
collaborazione alla regia Emanuela Bolco
audio originali Laura Rinaldoni
Scene e costumi Alexandros Mars
Arte rituale erotica del corpo a cura di Niko Marinelli
coreografie Gonzalo Mirabella
coordinamento artistico Silvia Di Ianni
con Laura Rinaldoni
e con Gabriella Casali, Antonio Fazio, Gonzalo Mirabella, Sylvia Di Ianni, Niko Marinelli, Stefano Germani, Ilaria Amadei, Anthony Rosa, Marco Fioramanti
e con la partecipazione speciale del marito Andrea Vangelisti
e della sorella Daniela Rinaldoni
Ufficio Stampa Rocchina Ceglia
Foto Stefano Borsini