UN PEZZO DI KRAFTWERK SE NE VA

E con lui un pezzo di storia

Lo scorso 30 aprile l’anima del gruppo pionieristico di musica elettronica Kraftwerk, il tedesco Florian Schneider, è morto all’età di 73 anni. Il gruppo ha lasciato un segno profondo nella storia della musica, inventando un linguaggio nuovo e influenzando una miriade di altri generi musicali.

Schneider e Hütter si conoscono negli anni al conservatorio di Düsseldorf ed entrambi si appassionano alla sperimentazione musicale, inconsapevoli di dare inizio all’embrione Kraftwerk.

Mentre nel resto del mondo le altre correnti musicali non facevano altro che destrutturare il classico rock’n’roll, i Kraftwerk (in italiano lett. centrale elettrica) intraprendono uno studio ossessivo del suono fino ad arrivare a concepire una dimensione musicale ultraterrena, robotica, puramente elettronica.

Per esprimersi al meglio, i tedeschi hanno sperimentato in diverse direzioni: servendosi spesso delle arti visive per dare una forma e un veicolo a quei suoni. Oggi, se vogliamo metterci a fare elettronica, non abbiamo necessariamente bisogno di veicolare la nostra musica, non abbiamo bisogno di dare un’ulteriore valore a quei suoni, di contestualizzarli in un messaggio preciso. Perché? Semplice. Perché questo tipo di sonorità, oggi, sono diventate punti fermi dell’esperienza musicale mondiale. Quindi, se oggi puoi fare musica elettronica più liberamente, senza dover per forza giustificare il tuo messaggio attraverso qualche visione ulteriore, devi dire grazie ai Kraftwerk.

Ma perché oggi possiamo dire che questo collettivo tedesco ha fatto la storia? I Kraftwerk innanzitutto hanno avuto e hanno la capacità di rivolgersi ad un pubblico universale: anche nella scrittura dei testi, sono stati essenziali, geometrici, come nella loro musica. Tutto questo ha reso coerente la loro opera e ha fatto sì che il loro messaggio potesse arrivare a uomini e donne di ogni cultura. Creare l’immagine di un futuro che descrive un domani utopico è stato il punto di partenza della loro comunicazione, un futuro che riguarda tutti senza distinzioni etniche o linguistiche. Insomma il concetto è chiaro, nella dimensione Kraftwerk le macchine avrebbero preso il sopravvento, addirittura gli uomini sarebbero diventati macchine. Ma tutto ciò ovviamente è rimasto utopia, anzi, la dimensione macchinale è entrata a far parte del nostro quotidiano, entrando in simbiosi con le nostre abitudini rendendosi affine al mondo umano, che, al contrario, la fa propria e riesce ad emozionarsi.

Questa è l’eredità lasciata da Schneider, un processo che ha contribuito ad influenzare innumerevoli generi musicali e che ancora oggi risulta attuale. Un’eredità che ha allargato gli orizzonti della musica, inglobando anche altre discipline artistiche.

Antonio Alberto Di Santo

 

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