APPARECCHIO (PRIMO STUDIO)

FrancescaBlancato
Francesca Blancato, al Teatro dell’Orologio, ha portato in scena la senilità, i ricordi, gli affetti, con un’intensità struggente

Sono felice di presentare in anteprima al Teatro dell’Orologio di Roma questo progetto, che ho iniziato a scrivere quattro anni fa e che ha cambiato molte volte forma e sostanza, restando però sempre legato alla sua essenza. Qui si osserva da vicino una solitudine: la vita di un anziano in una casa di riposo. E se pure tutto ha avuto inizio dal ricordo vago di mio nonno Amleto con la sua figuretta magra e sghemba, questo “vecchio” oggi sono soltanto io.
Il personaggio vive in attesa che la mamma venga a prenderlo, solo, tra le ombre di altri ospiti, nel ricordo fastidioso del suo compagno di stanza, Mario. Fare le parole crociate, evitare le chiacchiere degli altri, sopravvivere, ricordarsi dove vanno forchetta e coltello, ricordare come si deve apparecchiare per bene, come ci ha insegnato la mamma. Forse, in particolari circostanze emotive, si può continuare ad esistere soltanto apparecchiando la tavola e comunque questo non corrisponderà mai perfettamente ad esistere. [Francesca Blancato]

ApparecchioIl passato e il presente si confondono. Mentre le note malinconiche di Mario, la struggente canzone di Enzo Jannacci, accompagnano Francesca Blancato, autrice e protagonista dello spettacolo, in quei frangenti che rendono la percezione del tempo più urticante, sofferta, straniante. Come lei stessa ci ha tenuto a ricordare è dal ricordo sfumato del nonno Amleto, della sua esile figura, che ha preso vita Apparecchio, lavoro teatrale di lunga gestazione. Circa quattro anni. Un impegno notevole che in scena, al Teatro dell’Orologio, ha dato i suoi frutti, visto che la dimensione parzialmente autobiografica è sfociata poi nel memorabile ritratto di una senilità abbandonata a se stessa.

Parole crociate. Le care, vecchie caramelle Rossana scartate in continuazione (ma stavolta Sorrentino non c’entra). Una tavola da apparecchiare con tutti i crismi, quasi per sentirsi ancora utili a qualcosa. Il rapporto, non sempre facile, con un altro anziano che sta nel letto accanto. E i pensieri che volano verso una mamma che non c’è, ma che si vorrebbe comunque veder comparire, in qualsiasi momento, per farsi portare via da quel posto abitato solo da vecchi.

TeatroOrologio
Foto di Blu Mambor

Come si può forse evincere dalle diverse sfaccettature del personaggio portato in scena, la bravura di Francesca Blancato è anche nel mescolare tra loro i toni, nel distillare per esempio gocce di un umorismo dai tratti personali, naif, in quadretti più intimisti che lasciano ampio spazio alla riflessione dello spettatore, al naufragare di ognuno nei propri ricordi famigliari. Aiutata da un tono di voce calibrato, sicuro, l’attrice dialoga poi bene con la scena e col proprio corpo, arrivando a proporre persino una verticale allorché il protagonista si astrae dalla sua dimensione presente per perdersi nelle memorie infantili, nell’agilità avuta in un tempo ormai remoto. Sono momenti come questi che rivelano, assieme alle doti interpretative, l’assoluta sincerità dell’autrice, rendendo più facile un’adesione empatica da parte del pubblico.

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