SVARA (PROGETTO REGULUS)

Danza
Il suono e la danza sono gli elementi cardine del progetto Regulus, ideato dall’artista Nora Lux

LogoRoma, Teatro dell’Orologio, 6 aprile 2016
Regia e disegno luci: Nora Lux
Interprete: Silvia Vona
Soprano: Natalia Pavlova
Il Presentatore: Angelo Blasetti
Svara / suono: Oscar Bonelli
Progetto: Regulus
Ufficio stampa: 360art@libero.it
Date: Mercoledì 6 aprile alle ore 21:00

Ogni Uomo è un tempio vivente.
Le conclusioni dei nostri sensi e dei nostri sentimenti non sono illusorie.
Indicano una verità, profonda, e cioè che la realtà ultima è definita internamente.

Nella serata del 6 aprile si è sprigionata un’energia particolare, al Teatro dell’Orologio. Primo passo del progetto Regulus, passo di danza (e non solo), Svara è un’ulteriore evoluzione dell’interesse, radicato, profondo, che Nora Lux ha già manifestato nei confronti delle tradizioni culturali, spirituali e artistiche dell’India. La danza indiana e ovviamente la base del discorso. Come in precedenti occasioni l’artista Nora Lux ha potuto mettere in scena una straordinaria performance di Silvia Vona, danzatrice di Odissi la cui formazione appare impeccabile, al pari di quella espressività che da subito attrae, quasi ipnoticamente, l’attenzione del pubblico. Ma la principale novità è che questi momenti estatici, in Svara, sono inseriti all’interno di una partitura registica più complessa, produttrice a sua volta di senso, di reazioni emotive, di percezioni differenti e personali da parte degli spettatori.

SvasticaDifatti sono diverse le cesure che caratterizzano lo spettacolo, sin dall’apertura. Prima ancora che l’attenzione si focalizzi sull’intensità e la bravura di Silvia Vona, insomma, su quelle iniziali coreografie che della danza indiana già rivelano lo speciale magnetismo, è la voce di Oscar Bonelli a fendere la sala, ancora avvolta nell’oscurità, avvolgendo da dietro il pubblico e riportandolo a sonorità distanti nello spazio e nel tempo. Ci sarebbe la tentazione di girarsi, per cercare di indovinarne la sagoma al buio. Ma lo sguardo tende invece a restare fisso sul palco. Perché lì alcune fiammelle deposte in terra vengono a formare una SWASTICA (non a caso preferiamo utilizzare la grafia del sanscrito), simbolo al quale certi lugubri totalitarismi del Novecento avevano conferito un significato abnorme, deviato, ma che al contrario nella cultura induista e nelle antiche tradizioni indoeuropee (di cui vi sono molteplici tracce, sparse nel nostro continente) possiede ben altro e positivo valore.

L’esibizione di Silvia Vona, capace di fondere grazia, agilità e una formidabile energia compressa nelle mani, nei piedi, nelle stesse espressioni del volto, ci offre poi la chiave per accedere, intuitivamente, attraverso potenti sinestesie, a quel sostrato mitico e religioso che la danza rende in qualche modo tangibile. I miti in questione, però, saranno anche declamati in forma più asettica dalla voce di un presentatore, il noto Angelo Blasetti, la cui presenza forse sta a simboleggiare proprio l’atteggiamento del pubblico occidentale, sempre ansioso di ricevere spiegazioni e quasi mai in grado di sviluppare un’altra tipologia di ricerca, altre esperienze percettive. Se ciò in fin dei conti (e anche volutamente, immaginiamo) rappresenta l’intermezzo più debole della rappresentazione, di tutt’altro spessore scenico ed emotivo è l’intervento vocale della soprano Natalia Pavolva, il cui ingresso sul palco avviene con studiata, calcolata lentezza. Dai passi che quasi rimbombano in sala, scandendo solennemente la sua apparizione, fino alla meticolosa preparazione del leggio.

Natalia Pavlova
Natalia Pavlova

Ecco, questa è senz’altro la cesura più forte di Svara, quella che ci comunica come la regista Nora Lux abbia idee chiare sui mezzi per ottenere un particolare straniamento da parte del pubblico, spinto così a rimettere in discussione la propria idea dello spazio, dello scorrere del tempo, delle stesse percezioni sonore. Coerentemente con questo, l’artista Nora Lux continuerà poi a seguire le successive danze di Silvia Vona intervenendo con tagli di luce che non rendono mai calligrafica la sua performance, ma che al contrario ne esaltano il gesto in una dimensione da cui deriva anche, nella platea, una più forte adesione sensoriale ed emotiva.

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