Roma, Teatro di Documenti, 27 ottobre 2017
Scritto e diretto da Stefania Porrino.
Con Nunzia Greco, Evelina Nazzari, Alessandro Pala Griesche, Carla Kaamini Carretti e con la partecipazione di Giulio Farnese.
Alla chitarra Giuseppe Pestillo.
In collaborazione con Centro Studi “Vera Pertossi”.
Premio Donne & Teatro 2007
Date: dal 26 al 29 ottobre, dal 2 al 5 novembre 2017
INTRO: L‘azione si svolge durante una piacevole crociera sul fiume Dniepr in Ucraina. L‘incontro-scontro con alcuni turisti, prototipi del qualunquismo, si trasforma per la protagonista in un‘occasione per ricordare tutta la propria formazione politica: dagli anni dell‘adolescenza vissuti con passione, al periodo della delusione e del distacco dall‘impegno politico, sino al recupero del senso più profondo dei valori che avevano determinato le scelte iniziali.
L’interno del Teatro di Documenti già di suo è uno spazio estremamente suggestivo. In occasione di Comunimo, addio?, intenso spettacolo cui abbiamo assistito alla fine di ottobre e che sarà in palinsesto fino al 5 novembre, lo abbiamo visto trasformarsi per l’ennesima volta assumendo una forma ancora più sorprendente. Sì, perché nella circostanza la scena va a ricalcare la sagoma della prua di un battello. Ma non di un battello qualsiasi. Bensì una di quelle imbarcazioni cariche di turisti che abitualmente risalgono il fiume Dniepr, attraversando un territorio ucraino ricco di Storia e di tradizioni, bagaglio storico notevole che però, disgraziatamente, abbonda anche di episodi drammatici o quantomeno controversi. Soprattutto per ciò che concerne quei tormentati periodi, che hanno caratterizzato la storia recente della regione.
In una cornice così pregna di richiami l’autrice dello spettacolo, Stefania Porrino, ha posto in essere un incontro tra sensibilità differenti, che ha anche una dichiarata valenza autobiografica. Difatti il testo mette a confronto ben due tracce contigue al vissuto dell’autrice, ossia il carattere resiliente e problematico di una militanza politica a sinistra affrontata in gioventù con convinzione, ma andata poi incontro all’ovvio desiderio di rimettere in discussione certi punti fermi, di fronte alla scoperta delle troppe ipocrisie e reticenze presenti sul proprio lato della barricata; e per l’appunto, in controcampo, si staglia la dolorosa ammissione delle tante infamità che quel “socialismo reale” un tempo idolatrato aveva propiziato nell’ex Unione Sovieta e nei paesi finiti a forza sotto la sua egemonia. Nel corso della pièce la protagonista Stefania, ben interpretata da Evelina Nazzari, vede trasformarsi la sua trasferta ucraina, ipotizzata come viaggio dalle forti implicazioni culturali, in qualcosa a metà strada tra un aspro confronto dialettico e un complesso, bergmaniano tour della memoria. Da un lato ci sono infatti quei compagni di viaggio italiani, così beceri, arroganti, anti-comunisti ma nella dimensione opportunista e vacua che è propria di un background antropologico berlusconiano, non della destra più strutturata e colta. Ma dall’altro giganteggia la figura malinconica e comunque così energica dell’accompagnatrice turistica di quella piccola comitiva, Lidija (impersonata con ancor più carisma da Nunzia Greco), personaggio i cui spazi di riflessione personale mettono in relazione il pubblico con alcune delle pagine più oscure dello stalinismo. In particolare la violenta deportazione dei Tartari dalla Crimea, un crimine di Stalin rievocato qui in modo intimista e sofferto, che forse in Occidente non è adeguatamente conosciuto, ma che al sottoscritto non era affatto ignoto: chi vi scrive, piccolo déjà-vu degno di essere condiviso, in passato aveva visitato proprio quelle zone della Crimea teatro della tragedia, dopo aver affrontato peraltro alcuni esami di Storia dell’Europa Orientale e Storia dei Popoli Slavi.
Tornando allo spettacolo, Comunismo, addio? riesce a coniugare lo spessore dei contenuti con una forma coinvolgente e stratificata, nella sua vocazione multimediale. Se gli attori agiscono in una scenografia che vuole ricordare la prua di un battello fluviale, come dicevamo prima, le proiezioni su una parete si alternano all’azione scenica per aiutare a comprendere meglio i trascorsi dei personaggi ucraini e il contorto passato dell’Unione Sovietica. Ma incredibilmente utili ed evocativi sono anche gli interventi alla chitarra di Giuseppe Pestillo, che dall’altro lato della sala e con un piccolo corredo di orpelli nostalgici ed ideologici a sostenerlo intermezza opportunamente la narrazione; il suo è un dialogo a distanza con i ricordi giovanili della protagonista italiana, effettuato attraverso quelle vecchie canzoni di protesta, Guccini in testa, che rappresentano qui un adeguato contrappunto emotivo.