DIONYSUS AL VASCELLO

dionysus vascello teatro
“IL DIO NATO DUE VOLTE” IN PRIMA NAZIONALE A ROMA

dionysus vascello teatroÈ impegnativo e altisonante il Dionysus di Daniele Salvo, il dio nato due volte andato in scena dal 4 al 13 marzo al Teatro Vascello. L’attore e regista del centro di produzione teatrale La Fabbrica dell’Attore sceglie di portare sul palcoscenico uno spettacolo fedelmente tratto da Le Baccanti di Euripide. Portare nell’attualità i classici del teatro non è cosa semplice, sebbene il genio senza tempo di certi autori semplifichi la missione. Infatti l’interprete Daniele Salvo, nei panni del dio Bacco, fa pochissimi sforzi per modernizzare Euripide, scegliendo di rimanere piuttosto fedele al testo originale (versi in greco sono udibili nel corso della rappresentazione).

Dirige gli attori, bravissimi, in una recitazione ridondante che sa di vecchi tempi. Un primo accenno all’oggi si ha nell’apertura, quando la proiezione di una moderna metropoli cementificata schiude la tragedia mostrando una scenografia piuttosto scarna. C’è un piccolo monte fittizio al centro del palco, uno scheletro coperto da un telo poco più avanti, e niente più. Gli attori sfrutteranno l’intero palcoscenico sostanzialmente nudo, e anche i posti a sedere e le quinte velate dal telo su cui verranno proiettati di volta in volta i contesti.

Scrive Salvo, nella presentazione all’opera, che non ha voluto osare alcuna rivisitazione del capolavoro di Euripide. Ha preferito condire l’opera con un raffinato studio sul suono che vuole essere parte integrante dei dialoghi. Cioè aggiunge al testo originale un sottofondo sonoro che accompagna l’intero spettacolo e che dovrebbe servire, si suppone, ad “ingoiare” il pubblico all’interno del dramma. Certamente crea atmosfera, ma le tecniche di regia non bastano a fagocitare la sala.

dionysus vascello teatroCi si chiede, infatti, come un autore così antico possa ancora sorprendere la società di oggi. Si pensa che Dioniso potesse essere immorale in certe epoche, ma non oggi, dove si assiste in maniera quasi annoiata ad ogni dettaglio sul sesso e sull’omicidio, sulla degenerazione del nudo e del troppo vestito. Ma il dio di Euripide è un essere inquietante e folle, figlio della mortale Semele (lo scheletro in scenografia) e di Zeus. La sua ira si scatena su Tebe che non vuole riconoscere la natura divina del dio, e in particolare sulle sorelle di Semele e sul nipote Penteo (re di Tebe) che parlano di Dioniso come il frutto di una scappatella fra due mortali.

Penteo, interpretato dall’ottimo Ivan Alovisio, appare sin da subito sulla scena vestito come un “fascista del terzo millennio”. È lui il cattivo, lo si evince subito. Parla con l’indovino Tiresia (Paolo Lorimer) e con suo nonno Cadmo (Paolo Bessegato), quest’ultimo adoratore di Bacco solo per convenienza. I due provano a dissuadere Penteo dal combattere il dio che ha già iniziato a disseminare la pazzia fra le donne di Tebe, ora radunate sul monte Citerone e intente a celebrare riti in onore di Dioniso. Le donne tebane sono divenute a conti fatti le Baccanti, e fra loro c’è anche Agave (Manuela Kustermann), madre di Penteo.

Nella trama originale Penteo imprigiona Dioniso che riesce a liberarsi causando un terremoto. La vendetta del dio sarà quella di ridicolizzare Penteo travestendolo da donna e portandolo dalle Baccanti dove finirà sbranato dalle menadi, prima fra tutte sua madre Agave. Dunque la capacità di stupire contenuta nell’opera di Euripide sta tutta qua: la pazzia di Bacco è talmente crudele e degenerata da rendere impossibile l’identificazione o la presa di posizione. Dà inquietudine quella compassione che si prova per un fascista come Penteo scaduto nel ridicolo, e poi tutti quegli accenni psicologici che agli autori greci piacevano tanto (la madre che uccide il figlio, l’opportunismo viscido di Cadmo, il sadismo nella vendetta). Il monologo straziante di Agave che realizza di avere fra le mani la testa mozzata del figlio potrebbe essere facilmente inserito in un qualsiasi thriller psicologico dei tempi moderni.

Ma questo è solo merito del genio di Euripide. Nelle mani della compagnia teatrale rimane la possibilità di interpretare quell’orrore nel migliore dei modi, e in questo centrano l’obbiettivo. Le performance sono ottime, forse in certi casi inutilmente pompose e troppo incentrate a suscitare una reazione. La regia sceglie di far vedere le Baccanti seminude mentre imitano rapporti sessuali e si producono in versi gutturali che oscillano tra il brutto e il sensuale. Le espressioni dei volti attoriali sono in certi momenti esagerate, vale un po’ per tutti. Forse Euripide non sarebbe scaduto nella pornografia dell’orrore, probabilmente non ne aveva bisogno. Il succo della storia, cioè il dover ubbidire alla volontà degli dei, dogma precostituito che in questo caso altri non è che una depravata follia, è uno schiaffo morale più che sufficiente.

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