Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri

Quando il gioco di ruolo diventa cinema

L’antica arte della trasposizione cinematografica. Iniziata con la letteratura, agli albori della settima arte, per approdare poi in tempi più recenti al fumetto, al videogame e ad altre forme dell’immaginario, le più varie, con esiti a dire il vero non sempre rinfrancanti.
Quando poi si vanno a scomodare opere e “brand” di enorme successo, nel loro specifico campo, il rischio di mettere su una baracconata si fa più consistente, per quanto il botteghino possa talvolta premiare anche maldestri adattamenti. Questo pericolo lo abbiamo sentito con forza, ammettiamolo candidamente, al momento di confrontarci in anteprima con un film come Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri. Anche perché di D&D chi scrive era stato, in anni ormai lontani e comunque assai rimpianti, appassionato giocatore. Non è peraltro la prima volta che il notissimo, iconico gioco di ruolo, prossimo a tagliare il traguardo dei 50 anni di vita, viene riproposto al cinema. Si pensi alla trilogia inaugurata con Dungeons & Dragons – Che il gioco abbia inizio (2000) di Courtney Solomon. Messe le mani avanti, però, va detto subito che questa nuova operazione firmata da John Francis Daley e Jonathan Goldstein ha saputo mettere a frutto bene il cospicuo budget, riadattando “le regole del gioco” con intelligenza, ironia, fantasia e un po’ di sana sfrontatezza.

Dungeons & Dragons: L’onore dei Ladri riprende pertanto il gioco di ruolo fantasy creato da Gary Gygax e Dave Arneson alla metà degli anni Settanta cucendoci intorno una rocambolesca storia di magie e tesori da rubare, di letali stregoni oscuri e alleanze tra umani e altre razze, di trappole e labirinti sotterranei, di draghi (persino sovrappreso, nel caso specifico) e altre creature fatate. L’avventura c’è. Ma vi è anche la necessaria ironia nel giocare (termine qui quanto mai appropriato) coi personaggi, rendendone all’occorrenza buffi determinati lati caratteriali, ma soprattutto smontando e rimontando a piacimento un meccanismo narrativo che scivola a piacimento tra l’epica e la parodia, tra l’impronta sbalorditiva dagli effetti speciali e il timbro farsesco, spigliato, umoristico di certi dialoghi. In tal senso azzeccatissima la scelta di affiancare a un villain più tenebroso (la crudele maga rossa Safina) l’ex alleato dei protagonisti Forge Fitzwilliam, istrionico ladro alla cui dubbia morale Hugh Grant ha saputo conferire la giusta verve.

Ma più in generale gradevole e variegata è la composizione del gruppo di eroi, ai quali John Francis Daley e Jonathan Goldstein affidano nel film la missione di sventare un subdolo, terribile piano dei suddetti maghi rossi, recuperando al contempo quella Tavoletta del Risveglio di cui il protagonista Edgin Darvis, ottimamente interpretato da Chris Pine, vorrebbe sfruttare i poteri per resuscitare la moglie morta in un agguato e restituire così la madre all’amata figlioletta. Oltre alla simpatia del personaggio in questione ci ha fatto oltremodo piacere, piccola notazione personale, che questi sia descritto come un Bardo ed ex membro della Gilda degli Arpisti con poteri quindi affini a quelli del Chierico, ossia la storica classe di personaggi sulla quale il sottoscritto si era basato per costruire, a suo tempo, il proprio alter ego ludico!
Un piccolo, personalissimo momento di amarcord, suvvia, che vogliamo qui sfruttare per suggerire anche come questo brioso e divertente fantasy, per quanto debitore di altri “classici” del prolifico filone (da Il signore degli anelli di Peter Jackson per gli elementi paesaggisti alla saga di Harry Potter, con particolare riferimento a Harry Potter e il prigioniero di Azkaban), cerchi comunque una sua via; un approccio al genere magari scanzonato, rapsodico, attraverso il quale si tenta poi di parafrasare, con un certo acume, le situazioni tipiche dell’amato gioco di ruolo, non disdegnando neanche qualche strizzatina d’occhio agli spettatori più attenti di altri alle classi dei personaggi, ai lori specifici poteri e al modo di “stare in squadra”.

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