ELVIS THE MUSICAL
Produzione Ilce Italia
Regia Maurizio Colombi & Marco Vesica
Scenografie Alessandro Chiti
Coreografie Rita Pivano & Francesco Spizzirri
Direttore musicale Davide Magnabosco
Disegno luci Alin Teodor Pop
Costumi Claudia Frigatti
Grafica Gloria Prudente
Trucco Paolo Pina
Con Joe Ontario, Michael Orlando, Elisa Filace, Valeria Citi, Gennaro D’Avanzo, Giancarlo Capito, Silvia Scartozzoni, Alex Botta, Alfonso Capalbo, Maria Sacchi, Isabel Galloni, Laura Contardi, Jessica Aiello, Stefania Bovolenta
Band: Tiziano Galli & Alberto Schirò (chitarre), Max Zaccaro (basso), Alex Polifrone (batteria), Marco Brioschi (fiati), Davide Magnabosco (piano)
Teatro Brancaccio, Roma, dal 6 all’11 marzo 2018
Non possiamo far rivivere Elvis materialmente, purtroppo, ma possiamo farlo rivivere nei nostri ricordi, non solo grazie a tutto ciò che ci ha lasciato, ma anche grazie a omaggi sentiti e ben messi in scena come questo proposto al Brancaccio dalla Ilce Italia e diretto da Maurizio Colombi, che dopo i Queen, ricordati tra il 2009 e il 2011 con il musical We will rock you, riporta “in vita” un altro gigante che ha fatto la storia della musica.
Il risultato è impeccabile dal punto di vista strettamente musicale, grazie ad una band capace, affiatata ed egregiamente diretta, ma è molto interessante anche (ri)scoprire dettagli della vita di Elvis talvolta poco ricordati, come quello di essere il sopravvissuto di due gemelli, la perdita della madre Gladys (un’accorata interpretazione di Elisa Filace) durante il servizio militare in Germania, o l’ambigua figura del colonnello Parker (Gennaro D’Avanzo, abile nel ruolo del marpione senza scrupoli), il rapporto tormentato con Priscilla (Valeria Citi, inguaribile sognatrice contro ogni evidenza fino all’improvviso punto di rottura).
Superfluo rimarcare il piacere di riascoltare That’s alright mama, l’improvvisazione fortuita che lancia Elvis verso il successo, o perle come Jailhouse rock, Heartbreak Hotel, Always on my mind e tutte le altre, imperiosamente eseguite sia dal giovanissimo Elvis (il debuttante Michael Orlando) che da quello più maturo (Joe Ontario), un vero e proprio clone, ma il valore aggiunto dello spettacolo sono certe chicche come il duetto con Frank Sinatra, le avversità di certi media per le sue movenze per l’epoca a dir poco trasgressive, gli eccessi di ogni specie, non solo con le droghe, quasi necessarie per sostenere il ritmo serrato di un successo planetario, ma anche quelli di generosità verso tutto il suo staff, nonostante un presunto “caratteraccio” dovuto in buona parte ad una continua “ansia da prestazione”.
Divertente anche ricordare l’uomo impulsivo, capace di portarsi 20 persone al seguito dovunque per assecondare il capriccio di un momento, oppure rivedere la “Memphis mafia” capitanata dall’amico commilitone Joe Esposito (Giancarlo Capito, da un certo punto in poi abile narratore).
Il ritmo dello spettacolo è serrato, la vicende della vita del re vengono enunciate con espressioni quasi telegrafiche, alternativamente dagli attori/ballerini, autori di spettacolari coreografie, ed è la scelta giusta per dare ampio spazio alla musica e ai momenti toccanti non solo della carriera artistica, ma anche della vita privata.
I personaggi di supporto appaiono spesso in piccoli occhielli tondi ai lati del palco o in un occhiello grande centrale, dove non mancano immagini di repertorio da brivido.
Ne esce il ritratto che tutto sommato conosciamo, quello di un grandissimo vittima della sua stessa grandezza, divorato dal ritmi imposti da un’onnipotenza che sembra non aver mai fine.
Lo stesso epilogo, fino alla morte, viene, si, riportato, ma senza indugiarvi poi troppo. La trovo una scelta ragionevole: il mito va conservato pulito!
Alessandro Tozzi