Insufficiente. Così Roberto Grossi, presidente di Federculture, bolla l’impegno del governo in tema di investimenti nel settore culturale del nostro paese. La federazione, associazione di categoria che racchiude le aziende e gli enti culturali italiani, ha presentato lo scorso 8 luglio il suo 11° rapporto annuale. Il quadro che ne esce fuori è piuttosto desolante. Si riconosce al governo l’aumento dei fondi destinati al settore (1.500milioni in tre anni), si nota una lieve inversione di tendenza, una certa voglia di ripartire, insomma tanti buoni propositi. “Troppo poco”, annota serafico Grossi. È vero: il MiBACT aumenterà gli investimenti del 3% da qui al 2017 e il Fus (fondo unico per lo spettacolo) rimane stabile sui 400milioni, ma queste cifre diventano irrisorie se rapportate al bilancio dello Stato. In percentuale siamo sullo 0,19%, se calcolate in base al pil le risorse si fermano allo 0,13%.
Il presidente di Federculture snocciola dati per un’ora sotto gli occhi attenti del Ministro Dario Franceschini, anche lui presente al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, là dove la federazione ha scelto di esporre il suo rapporto annuale. In un’aula attanagliata dal caldo prende la parola Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai: “Mi stupisco che la Rai entri a far parte di Federcultura solo ora. Meglio tardi che mai”, dice. Informa che la tv di stato collaborerà con l’Istat per fornire un’analisi della situazione culturale italiana, poi cede la parola.
Si nota l’assenza del Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, impegnata con la votazione alla Camera del ddl Buona Scuola. La riforma, poi approvata con 277 voti favorevoli, è esclusivamente incentrata sugli istituti primari e secondari mentre esclude tutto il settore universitario, che nel testo di legge non viene citato neanche una volta. Eppure l’analisi di Federculture evidenzia la pesante sofferenza degli atenei. Negli iscritti, soprattutto, calati del 25% in dieci anni, un’emorragia di oltre 66mila studenti.
Meno laureati e meno spettatori. Scorrendo i dati si nota che la spesa delle famiglie italiane in cultura è aumentata del 2%, così come le visite ai siti archeologici (+5,8%) e le presenze a concerti e teatri (+2,2%). Ma l’astensione complessiva da questo tipo di attività è del 19,3%, con picchi del 30 quando si arriva al sud. Il 56% della popolazione italiana non legge neanche un libro in un anno, il 70% non mette piede in un museo, il 78% non va a teatro. Gli astenuti, al sud, sono circa l’80% della popolazione.
Dunque è vero, gli italiani hanno ricominciato a spendere per il proprio arricchimento culturale, ma gli interessati sono pochissimi, una minoranza. Lo sa bene il Ministro Franceschini, che riconosce tutti i problemi del settore. “Ma – dice – dal governo Letta e poi Renzi si è creata un’inversione di tendenza. Abbiamo istituito un nuovo fondo di 100milioni più altre agevolazioni fiscali, e vi assicuro che non è stato per niente facile in tempo di crisi”. C’è la volontà di aumentare l’impegno, ma tocca andare con i piedi di piombo. Il sintomo evidente di un paese talmente in crisi da doversi accontentare di pochi decimali in investimenti per accudire il 70% della produzione artistica mondiale.