I MUSE INFIAMMANO L’OLIMPICO DI ROMA

OLTRE DUE ORE DI CONCERTO PER LA BAND INGLESE, CHE SPRIGIONA ROCK, ENERGIA...E FIAMME

Quando un gruppo rock, per i suoi concerti, passa dai palazzetti degli sport agli stadi interi probabilmente si è celebrato un evento: entrare e restare nella storia della musica. Una consacrazione.

Allo Stadio Olimpico di Roma erano in 60.000 ad attendere la band inglese per il loro “The Unsustainable Tour”, il tour che celebra i 20 anni di vita del gruppo e i 6 album che vanno da “Showbiz” del 1999 e “The 2nd Law”, ultimo lavoro uscito nel 2012. Un concerto che non ha deluso le attese, anzi ha confermato la grandezza del trio del Devon composto da Matthew Bellamy (voce, chitarra e pianoforte), Chris Wolstenholme (basso, cori e armonica) e Dominic Howard (batteria e percussioni).

La musica è stata la grande protagonista della serata, come era scontato che fosse, ma il concerto è stata uno spettacolo nello spettacolo grazie a una maestosa scenografia, una struttura su quattro piani dotata di un gigantesco video wall con effetti tridimensionali e sei ciminiere pronte a emettere fuochi ed esplosioni.

L’inizio del concerto è comunicato con un grosso boato e con un’astronave che squarcia la parete e penetra nel palco. Per i primi secondi sembra che questa astronave ci sia davvero, materializzata sopra la testa di Bellamy e soci. Invece si tratta “solo” dell’effetto magnificamente tridimensionale del video wall. Si parte con Supremacy, Panic Station e Plug in baby, il pubblico è già in estasi e inizia a cantare e ballare senza sosta. Nel frattempo il palco è diventato una stazione lunare con le sei ciminiere che a ritmo di musica cacciano lingue di fuoco sul cielo di Roma (le vampate di calore sprigionate dalle fiamme si sentono anche sugli spalti).

Si continua con Map of the Problematique, Resistance e poi con Animals. Gli schermi proiettano immagini di Borsa, di azioni e soldi; e sul palco, dopo un po’, appare un banchiere che strappa banconote e le lancia con disprezzo verso il pubblico.

Omaggio a Morricone con “The Man with a Harmonica” per Knights of Cydonia e poi Explorers al pianoforte e ancora teatralità con Hysteria e Feeling Good, in cui un’attrice raggiunge una pompa di benzina sul palco e si fa una doccia di petrolio. Quindi è il momento delle dediche: Follow Me è cantata per il figlio di Bellamy (lo annuncia lo stesso cantante in un buon italiano. Per dieci anni è stato fidanzato con una ragazza italiana e ha vissuto sul lago di Como).

Ancora, Liquid State, poi per Madness, uno degli ultimi successi, Bellamy indossa un paio di occhiali che mostra a tutti, grazie ai maxischermi, le parole del testo. Time is running out è preceduta dalle note di “House of the Rising Sun”, che il pubblico apprezza e canta in coro sostenuto dall’arpeggio di chitarra di Bellamy. Giungono altri grandi successi come Stockholm Syndrome e Unintended, poi arrivano Guiding Light e Blackout (fa il suo ingresso un enorme pallone aerostatico a forma di lampadina, che porta sulla testa degli spettatori in platea un’acrobata ballerina appesa nel vuoto).

Si chiude con autentiche gemme come Undisclosed Desires, Supermassive Black Hole, Unsustainable, Survival, Uprising e Starlight che portano il gruppo in trionfo.

I Muse possono considerarsi membri di diritto del ristretto club dei grandi del rock. Il live è stato meraviglioso: rock purissimo, virtuosismi musicali, uno show completo e molto teatrale con effetti pirotecnici, un tripudio di luci, laser e immagini realizzate in una favolosa computer grafica. Uno concerto che, come annunciato all’inizio, diventerà presto un DVD. Almeno, chi se lo è perso dal vivo potrà in questo modo consolarsi.

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