IL MISANTROPO di Molière

 

TRADUZIONE: Cesare Garboli

PRODUZIONE: L’albero Teatro Canzone

SCENE: Bruno Bonincontri

CON: Pietro Bontempo, Elisabetta Misasi, Giuseppe Antignati, Sonia Barbadoro, Alessandra Muccioli, Dario Iubatti, Remo Stella, Luigi Di Pietro

REGIA: Adriana Martino

 

TRAMA: Il protagonista Alceste è un intransigente idealista, che pretende di comportarsi senza ipocrisie e senza piegarsi a compromessi, incapace di conciliare i propri principi etici con le consuetudini sociali.

Innamorato di Célimène, una giovane donna un po’ civetta ed amante della mondanità, cerca di convincerla a rinunciare al mondo a cui è abituata per amor suo.

 Alla fine la differenza dei due caratteri e modi di vivere porterà alla fine della relazione ed il deluso Alceste, che nel frattempo ha perso un processo intentatogli, deciderà di espatriare.

 Altro personaggio principale di quest’opera è Filinte. Filinte si contrappone dialogicamente ad Alceste, insensibile al fantasioso dover essere reclamato ad ogni piè sospinto dall’amico moralista, si ostina a restare ancorato alla realtà, affermando che il mondo con i suoi difetti non si può cambiare e quindi l’unico modo per vivere bene in questa società pervasa da immoralità e dissimulazione è l’adattamento a questo mondo fittizio. Alceste quindi segue un disegno impossibile, che porta a una vicina sconfitta. La commedia finisce con Alceste che ripudiato da tutti, abbandona la societa mondana in cui si trovava e si ritira per una vita solitaria.

Bellissima rilettura di un classico della commedia di Molière, stavolta in chiave moderna ma senza eccedere.

Il misantropo (titolo originale Le Misanthrope ou l’Atrabilaire amoureux), è una commedia in cinque atti del drammaturgo francese Molière. Venne rappresentata per la prima volta a Palais-Royal il 4 giugno 1667, con le musiche di Jean-Baptiste Lully.

Va premesso che questa commedia nasce nella solitudine e nella crisi delle pièces di Don Giovanni e de Il Tartufo, censurate e non rappresentate, e per la depressione e la malinconia dovuti dall’abbandono della moglie dell’autore. Questi i motivi per cui ne Le Misanthrope Molière rinuncia alla comicità dirompente che caratterizza la maggior parte delle altre pièces, e per bocca del particolare personaggio di Alceste, proclama al mondo ad alta voce, fin dall’inizio della pièce, i propri rigidi principi, e il suo ideale utopistico di un’umanità nobilitata dalla virtù.

Il misantropo affronta impietosamente i temi essenziali del vivere: il rapporto con gli altri, con la società, con il mondo, con la donna amata. L’esigenza di assoluto di Alceste, il giovane protagonista ritratto da Molière, nemico dei compromessi e dei capricci dell’alta società, si scontra non soltanto con le ipocrisie e i vizi altrui, ma anche con le debolezze innocenti, con i necessari galatei del convivere che lui interpreta come inutili ipocrisie. È questo, soprattutto, a dare al personaggio quella complessa e indefinibile ambiguità che si realizza sulla scena in una varietà interpretativa con pochi riscontri nel teatro di tutti i tempi.

Il protagonista Alceste, qui magistralmente interpretato da Pietro Bontempo, è un uomo onesto e giusto che detesta ogni forma di ipocrisia fino alla nausea, ma quasi per contrappasso, si innamora di Cèlimène (interpretata da Elisabetta Misasi), una donna capricciosa, frivola, bugiarda e ipocrita fino al midollo a cui però il nostro protagonista perdona qualunque nefandezza in nome dell’amore.

Tutti i personaggi del Misantropo impersonano vizi, ragioni, nevrosi, ipocrisie, eccessi e contraddizioni che caratterizzano il genere umano, abbattendo le barriere del tempo e dello spazio; in questa commedia si alternano farsa e tragedia le cui sfumature tenui si alternano a tinte forti.

I personaggi rappresentano singolarmente i difetti del genere umano e così Filinte (interpretato da Giuseppe Antignati) unico vero amico del protagonista, nella commedia impersona il lume della ragione, la diplomazia forzata agli estremi, nonché valvola di sfogo del protagonista; Eliante, timida cugina e amica di Célimène segretamente ma disperatamente innamorata di Alceste è impersonata e delineata magistralmente da Alessandra Muccioli; Arsinoé conoscente e infida amica di Célimène (interpretata da Sonia Barbadoro) che impersona magnificamente l’invidia, gli adolescenti di oggi probabilmente la definirebbero una “bastarda dentro” non a torto, poiché assidua seminatrice di zizzania; poi c’è Oronte (interpretato da Dario Iubatti) che impersona abilmente l’opportunismo e il servilismo viscido, di lui si dice che abbia conquistato la sua posizione privilegiata facendo affari sporchi e vivendo da gran signore; ci sono infine Clitandro (interpretato da Remo Stella) e Acasto (interpretato da Luigi Di Pietro) due marchesi pieni di sé, che si contendono inutilmente la mano della bella Célimène, anch’essi perfetti nella loro interpretazione.

La commedia si apre con un dialogo piuttosto acceso tra Alceste e Filinte in cui il protagonista spiega all’amico i motivi per cui rifugge dai rapporti umani. Alceste infatti afferma che tutti, nessuno escluso, sono falsi e ipocriti e pur di seguire le convenzioni sociali sono disposti a mentire, ad essere opportunisti e a sostenere di provare sentimenti che in realtà non nutrono. Ma Alceste non è un solitario per scelta degli altri, ossia un emarginato, al contrario è un solitario per sua scelta, perché non ama la compagnia dei suoi simili; il sottotitolo della commedia (non a caso) lo definisce anche un “innamorato atrabiliare”, ovvero persona con un “travaso di bile” dunque, un nevrastenico, un malato, una persona patologicamente piena di rabbia, e dal dialogo iniziale lo si evince pienamente.

Tutti gli interpreti di questa pièce teatrale sono perfettamente calati nella parte, incredibilmente realistici e attuali, e il risultato finale è uno spettacolo divertente, interessante, mai anacronistico; una nota particolare merita la regia curata da Adriana Martino che ha saputo così ben amalgamare e dirigere attori tanto diversi tra loro e produrre un risultato così ben articolato e gradevole.

Molto curati e sincronici anche i costumi. Scenografie essenziali ma non troppo, ritmo di recitazione scorrevole e mai lento. Recitazione coinvolgente, ben impostata ma mai sopra le righe da parte di tutto il cast.

Molière attraverso il misantropo, obbliga lo spettatore ad una riflessione sui tempi odierni, in cui niente è più o bianco o nero come vorrebbe il protagonista, ma tutto è ormai di una indefinita tonalità di grigio.

Il personaggio di Alceste è contradditorio, patetico, ridicolo, ma essenziale nella storia, mentre gli altri personaggi seppure di spessore, che ruotano intorno al protagonista, nella storia sono quasi evanescenti come la cipria che li imbelletta, affannati nel loro dolce far nulla, tronfi e vanesi e ben rappresentano quel mondo lezioso della corte di Luigi XIV, che purtroppo ci appartiene oggi più che mai.

Ho riscontrato infatti una serie di analogie tra la commedia e le moderne vicissitudini proprie dei giorni nostri, in cui il successo purtroppo si ottiene solo attraverso opportunismo servilismo e ipocrisia proprio come Oronte, mentre nella commedia, che non dimentichiamoci è datata 1667, il protagonista ipotizza che possa esistere un mondo scevro da ogni falsità, ma purtroppo è il solo a credere in questa utopistica opportunità.

La vera grandezza di Molière consiste però nella sua capacità psicologica di farci intendere, di farci percepire il dubbio, sul fatto che la ragione non stia tutta dalla parte di Alceste. Grazie a Molière ci accorgiamo di quanto Alceste sia esagerato, quasi patologico in questo suo essere convinto di avere ragione, incapace di sentire le necessità degli altri e comprendere le loro ragioni. Forse non può capire gli altri perché si è rintanato in una sorta di bolla di sapone in cui si circonda e si fa scudo delle sue solide certezze apparentemente inattaccabili.

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