Intervista ai Presi Per Caso

Presi per caso
I “Presi per caso” sono una compagnia di detenuti, ex-detenuti e non-detenuti. In ogni caso, al momento, si sentono tutti liberi. I “Presi per caso” fanno teatro e suonano rock. Raccontano storie che parlano di carcere, ma lo fanno col sorriso. Perché, spesso, ridendo si riflette meglio. Il progetto dei “Presi per caso” è artistico, creativo e comunicativo aperto a tutti coloro che vogliono partecipare e collaborare. www.presipercaso.it

Presi per casoDopo la trilogia discografica di “Presi Per Caso”, “Delinquenti” e “Senza passare dal via”, esce finalmente disco “FUORI (ma solo per un breve permesso-premio)”. Cosa rappresenta per voi questo disco?
Rappresenta la presa di coscienza che esiste un “dopo la detenzione”, un fuori, che merita di essere raccontato. L’impatto con il “fuori” è sempre brutale, una sorta di shock specie se questa realtà, nel frattempo, si è trasformata, ha assunto un’altra velocità, altri valori e galleggia in una sorta di degrado culturale ed economico che tu non sei stato preparato ad affrontare.

Volevamo raccontare il fuori con gli occhi di chi è stato dentro ed è stato inevitabile che le storie venute fuori intrecciassero le due realtà: il mondo di fuori ferito dalla crisi, dalla solitudine, percorso anche da personaggi come ex-detenuti, clochards, trans e riempito da parole nuove e feroci come “spread” e “default”. Il tutto, però, rivestito con giuste dosi di ironia e humour.

Il 12 Luglio scorso avete tenuto un concerto live presso il Roma Fringe Festival, a concludere questa interessantissima manifestazione che offre spazio al teatro off, quello che in genere non è molto conosciuto, seppur valido quanto gli spettacoli mainstream. Un pò come accade ai musicisti, talvolta “schiacciati” dai talent e dalla tv. Raccontateci come avete vissuto questa esperienza e quale secondo voi è il festival, in campo musicale, che offre spazio agli artisti così come fa il Fringe.
Diciamo anche che il Fringe Festival, oltre a suonare, ci ha consentito anche di portare in scena un nostro spettacolo teatrale dal titolo “Nella mia ora di libertà”. La grandezza di quel festival è che nasce da un’idea forte e da un approccio molto creativo di Davide e Marta (Ambrogi e Volterra, gli organizzatori n.d.r.) che, prima ancora di lanciare il festival, hanno coinvolto, dialogato, interagito con decine di compagnie e attori creando così, prima di tutto, un’atmosfera di coesione e uno spirito creativo. Il tutto si è ripercosso con una “vibrazione positiva”nelle varie edizioni del festival.

In campo musicale, aspettiamo, quindi, un festival simile che nasca con lo stesso spirito.

Siete stati definiti dal magazine musicale Rockstar come “i veri Blues Brothers italiani”. Quanto, secondo il vostro parere, vi calza questa assonanza e quanto invece vi sentite differenti da loro.
I punti di contatto sono tanti. Innanzitutto, quella parola: Blues. E’ un genere musicale che amiamo e abbiamo divorato e metabolizzato e, nonostante le nostre canzoni attraversino i generi musicali più disparati, la sua ombra malinconica e irridente è sempre presente in ogni pezzo.

Ai “Blues brothers” ci accomunano poi tre scene fondamentali: la prima, quando John Belushi esce di galera, quella finale in cui la band suona dentro il penitenziario e quella in cui alla fine del concerto non vengono pagati perché la quantità di birre consumate hanno superato il valore del cachet concordato col proprietario. Ecco, quella scena con noi accade spesso

I “Presi Per Caso” nascono all’interno del penitenziario di Rebibbia. Quando avete avuto il bisogno di fare musica e come la musica vi ha permesso di avere una visione diversa del mondo?
La musica è essenzialmente un linguaggio, un modo di comunicare. Forse il modo più diretto e bello di farlo. In carcere, viceversa, il linguaggio è azzerato, la cultura è azzerata.

Allora la musica, in quel contesto, ha rappresentato una vera e propria “evasione” dal degrado, dall’inerzia, dalla passività della galera. Per noi è stato un modo di riappropriarci di un linguaggio più vivo e reagire. La musica, in carcere, ci ha resi più vivi.

Le vostre storie sono racconti della realtà carceraria: quali sono quelle che più vi sono vicine e quali quelle che secondo voi il pubblico dovrebbe conoscere?
Non crediamo si possa distinguere. Il carcere è un vero e proprio universo. Ogni storia meriterebbe di essere conosciuta perché ognuna di esse rappresenta una piccola tessera di quella specie di “mosaico oscuro” che è il carcere.

La nostra, infatti, è stata un’attività artistica a 360 gradi che ha coinvolto forme espressive molto diverse come il teatro, il racconto, la musica, le canzoni. Questo perché volevamo che il pubblico percepisse e conoscesse il carcere, i suoi problemi, nella loro interezza.

La vostra musica è un mix tra ironia, amarezza e note di sarcasmo: quali sono gli artisti che nel bene o nel male hanno influenzato il vostro modo di fare musica?
Ci paragonano spesso a Rino Gaetano o a Daniele Silvestri, due autori che ci piacciono tanto.

Salvatore, l’autore di tutte le nostre canzoni, è stato molto influenzato dall’umorismo inglese ma anche da Petrolini e Ionesco.

Musicalmente attinge da tutti i generi musicali, Beatles in primis. Ecco, questo carattere musicalmente onnivoro si percepisce molto dalla nei nostri pezzi.

Ora che siete “Fuori (ma solo per un breve permesso premio)” dove vi recherete a suonare?
Abbiamo cominciamo con la data di sabato 14 Dicembre al Palladium di Roma, poi partirà il “Fuori Tour”.

Siamo molto contenti.

Progetti futuri?
A Febbraio cominceremo anche a lavorare a “FUORI 2”, il seguito di questo nostro nuovo cd.

Intanto ci godiamo la promozione e gli ottimi riscontri che “FUORI 1” sta avendo tra i critici ed il pubblico.

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