Titolo: La febbre del sabato sera
(40 anni del film icona della disco music)
Autore: Stefano Cocci
Copertina flessibile: 144 pagine
Editore: Ultra (2 novembre 2017)
Costo: € 19,50
Intro: Completo bianco, braccio puntato al cielo e luci accese a dare un nuovo ritmo alla notte. Sono passati quarant’anni da quando Tony Manero è sceso per la prima volta in pista diventando immediatamente un’icona di disco music e glam. E, soprattutto, un fenomeno. Era il 1977 e con l’uscita nelle sale del film di John Badham, “La febbre del sabato sera”, John Travolta, nei panni del giovane Manero, portava in scena il ballo come strumento di ribellione e rivoluzione. Rivalsa sociale. La pista era il regno del “fantastico” dove tutto diventava possibile, perfino inventarsi un futuro. Premiato da botteghino e critici – la maggior parte dei giornalisti di settore lo definì “film più bello dell’anno” – il lungometraggio è un cult, apprezzato anche dai giovanissimi. Nel 2004 è stato aggiunto nella lista dei “1.000 migliori film di tutti i tempi” stilata dal «New York Times», nel 2010 è entrato nella National Film Registry della Biblioteca del Congresso, perché riconosciuto “storicamente e culturalmente significativo”. A quarant’anni di distanza, un viaggio nella realtà del tempo, tra moda, musica e vita nella comunità degli italoamericani, e un confronto con oggi, tra crisi, nichilismo giovanile, razzismo, omofobia, aspirazioni frustrate, machismo, desiderio di trovare una via di fuga dalla realtà. Per scendere, di nuovo, in pista.
Quando l’autore del libro e colui che lo recensisce si chiamano in maniera pressoché identica, un po’ di spaesamento nel lettore è anche giustificato. I più maliziosi potrebbero persino sospettare che qualcuno, decisamente sfrontato, si stia recensendo il saggio da solo. E invece no! Da un lato vi è il sottoscritto, Stefano Coccia, il quale sedotto dalla brillante scrittura del collega e quasi omonimo ha voluto recensirne il lavoro. E dall’altro, per l’appunto, Stefano Cocci, eclettico giornalista che nel quarantesimo anniversario di una pellicola davvero epocale come La febbre del sabato sera ha pensato bene di dedicargli un agile, coloratissimo volumetto, in cui ne vengono analizzati da molteplici angolazioni il mito, la genesi, i personaggi, nonché le differenti sinergie artistiche che hanno contribuito a decretare un così duraturo successo.
Per spiazzare ulteriormente il lettore di questo snello articolo, va detto che con La febbre del sabato sera – 40 anni del film icona della disco music , edito da Ultra e fresco fresco di pubblicazione, ci eravamo già confrontati il 17 dicembre 2017 alla libreria Altroquando di Roma. In quella occasione erano intervenuti, oltre all’autore, Simone Zizzari e l’attore Giuseppe Gandini, che aveva prestato la sua voce per la lettura di alcuni brani, così da rendere più piacevole la serata. Ed era stato senza dubbio un evento ben congegnato, considerando che proprio in quei giorni ricorrevano il quarantennale della premiere del fortunato lungometraggio e quello, di poco precedente, della pubblicazione di una colonna sonora divenuta poi immortale. Non stupisca il fatto che l’album apparso nei negozi di dischi il 10 dicembre 1977 avesse addirittura preceduto, seppur di pochi giorni, l’approdo del film nelle sale, perché non solo il rilancio in grande stile dei Bee Gees fece grande scalpore, musicalmente, ma tutto ciò che ruotava intorno a La febbre del sabato sera si rivelò tale da modificare sensibilmente l’idea stessa di lancio cinematografico, in terra hollywoodiana. E non stupisca neanche troppo, a questo punto, che abbiamo tardato qualche mese, prima di dire la nostra sul libro; una lettura assai godibile, che abbiamo assaporato nelle settimane successive e sulla quale abbiamo finito per esprimerci in estate, consapevoli che anniversario a parte ogni occasione è buona per parlare del film che consacrò John Travolta tra le stelle di Hollywood, ricodificando al contempo l’iconografia della disco music sul grande schermo e legando un simile impianto spettacolare a tematiche sociali tutt’altro che peregrine, ancora oggi di notevole impatto.
Invero il giornalista e critico Stefano Cocci non è del tutto alieno dal ballo, poiché abituato a “ballare coi lupi”. Quelli giallorossi! Nel senso che, al pari del recensore Stefano Coccia (e qui la confusione, nel lettore più suggestionabile, pare destinata ad aumentare), alla passione per il cinema abbina quella per lo sport, con una fede calcistica molto ben definita. Qui però, per aprire le danze, ai lupacchiotti della compagine capitolina Cocci ha preferito un ballerino i cui passi e il cui abbagliante completo bianco sono entrati nella leggenda, scrivendo una pagina della Storia del Cinema di assoluto valore mitopoietico. E per farcene capire l’importanza, Cocci non ha lesinato alcun argomento: prendendo le mosse, ovviamente, da una breve ricognizione del musical come genere cinematografico, con estemporanee puntate sullo stato di salute della disco music nell’America di metà anni ‘70; analizzando poi quelle particolari forme del giornalismo anglosassone che diedero vita al contestato articolo, cui è ispirato il soggetto del film; dissertando a lungo sulle carriere del regista, di John Travolta stesso e degli altri interpreti, interfacciati naturalmente coi rispettivi personaggi, tutte figure che raccontavano molto di quegli ambienti sociali della Grande Mela scandagliati con altrettanta esattezza antropologica; per approdare infine, attraverso diverse altre tracce, a una accurata disamina della mitologia stessa de La febbre del sabato sera, film riproposto in TV, imitato, citato, persino parodiato, più e più volte. Con l’inquietante figura del Tony Manero di Pablo Larrain, ad esempio, sullo sfondo. Una lettura perciò vivace, irrequieta, pop, mai superficiale, ricca di spunti, quella del libro pubblicato da Stefano Cocci, che vi consigliamo di non farvi sfuggire, qualunque ricordo conserviate del cult movie firmato John Badham.