Titolo: La regia di frontiera di John Carpenter
Autore: P. Luigi Manieri
Editore: Elara
Collana: Fantascienza saggi
Anno edizione: 2011
Pagine: 250 p., ill. , Brossura
Intro: Una monografia completa che esplora da vicino tutto il cinema di John Carpenter in un’ottica originale che mette in discussione alcune “certezze” ormai acquisite circa l’autore di Halloween. Un percorso meticoloso e appassionato lungo tutta la carriera del cineasta in cui l’autore esamina da molteplici angolazioni le pellicole carpenteriane nel tentativo di restituirci il punto di vista del regista sul cinema e sul suo cinema.
Diciamoci la verità: il cinema di John Carpenter ci manca. E ci manca parecchio! Provando a contestualizzare la sua assenza dal grande schermo, l’ultimo lungometraggio diretto fino ad ora è l’horror The Ward – Il reparto, realizzato addirittura nel 2010. Caso vuole che di recente ci siamo imbattuti in un libro, La regia di frontiera di John Carpenter del noto saggista Pier Lugi Manieri, che era stato pubblicato non molto tempo dopo, per la precisione nel 2011. Redatto magari con la speranza (adombrata in alcune parti del testo) che si sarebbe visto a breve nelle sale qualche altro film del grande cineasta. Invece dopo The Ward stiamo ancora aspettando. E non c’è nessun indizio sicuro, al momento, che tale digiuno sia destinato a interrompersi. In compenso l’eclettico film-maker statunitense non ha smesso di divertirsi, continua infatti a girare il mondo con la sua band. Colonne sonore diventate ormai dei classici, altri brani comunque suggestivi composti a prescindere dal loro utilizzo cinematografico, tutto un tripudio di musica elettronica e di ritmiche ossessive, insomma, che anche noi abbiamo potuto assaporare il 28 agosto 2016, data del suo passaggio all’Auditorium di Roma. Non a caso nell’approfondito e variegato libro di Manieri c’è anche un capitoletto dedicato al rapporto del regista con la musica.
Cosa ci ha colpito quindi di tale lettura? Essenzialmente lo sguardo caleidoscopico dell’autore sulle mille rifrazioni di una poetica stratificata e al contempo diretta, ricca di punti di vista quantunque coerente nel perseguire determinate finalità di intrattenimento, una poetica che altre voci critiche hanno rischiato spesso di appiattire, minimizzandone snobisticamente la portata o al contrario esaltandola fino a creare sovrainterpretazioni eccessive e conseguentemente ridicole. Un esempio tipico di questa tendenza a travisare è la visione del Carpenter politico. Bob Hauk: “C’è stato un incidente: circa un’ora fa un piccolo jet è precipitato nel centro di New York, c’era a bordo il Presidente”. Jena Plissken: “Presidente di che?” Allora, questo memorabile dialogo tra Kurt Russell e Lee Van Cleef in 1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981) è esemplare di quanto Carpenter possa essere corrosivo, sferzante nei confronti del potere, tanto da suggerire a volte l’idea di uno spirito anarcoide e sfacciatamente anti-sistema. E fin qui ci siamo. Per quanto il regista nelle sue opere e persino nelle dichiarazioni pubbliche (alcune delle quali, assai sfiziose, riportate anche nelle pagine de La regia di frontiera di John Carpenter) abbia dimostrato, altrettanto spesso, di avere molto più a cuore la ruvidezza e il senso stesso della narrazione, rispetto a un qualsiasi inquadramento di natura politica. Ciononostante la critica italiana più politicizzata di entrambi gli schieramenti, ma a ben vedere soprattutto quella di sinistra, pare averci preso gusto a sovraccaricare di significati situazioni, personaggi, scelte narrative, col rischio di approdare a vere e proprie mistificazioni. Strappa quindi il classico, catartico sorriso di Franti la scelta di un Pier Luigi Manieri a sua volta simpaticamente sfrontato, allorché il saggista non si fa scrupolo di elencare ed analizzare alcune di queste critiche “fuori fuoco”, senza risparmiare all’occorrenza nomi importanti come Paolo Zelati o la compianta Lietta Tornabuoni. Oppure recensori meno noti ma non per questo degni di assoluzione, come quel Marco Minniti di Movieplayer che nel descrivere il personaggio di Jack Burton in Grosso guaio a Chinatown arrivò a dire: “…è il compendio di tutte le caratteristiche del rozzo americano medio, canottiera, linguaggio colorito e pasti a base di micidiali hot-dog: lui non lo dice mai, ma non fatichiamo a immaginare questo personaggio come un convinto elettore del partito repubblicano”. Appunto. Non lo dice mai. Che il buon Minniti, tristemente omonimo di un controverso Ministro dell’Interno, sia solito pedinare i personaggi dei film fin nella cabina elettorale? Su, siamo seri.
Dopo aver accennato ampiamente (e necessariamente, volendo) alla pars destruens del discorso, dobbiamo però precisare subito che la pars costruens, nel saggio di Pier Luigi Manieri, è ancora più sviluppata e interessante. Passando sotto la lente di ingrandimento tutti i film di un regista visibilmente amato, Manieri ne fa emergere modus operandi, fonti di ispirazione, rilevanza nel panorama cinematografico di genere (e non solo), catturando l’attenzione del lettore di pagina in pagina. Si va dalla parafrasi dei topoi del cinema western e dalla passione per le pellicole di Howard Hawks alle influenze di natura letteraria, per esempio quella esercitata da Lovecraft, così evidente ne Il seme della follia. Si fa riferimento al mondo del fumetto e al mito greco. Si instaura uno stimolante parallelo con la carriera cinematografica, per certi versi così differente, di Steven Spielberg. Si prova ad analizzare il rapporto di Carpenter con l’horror uscendo fuori dai soliti schemi. Se ne contestualizza la portata, attraverso l’analisi di alcuni suoi film di culto, rispetto al filone distopico affermatosi con forza nel cinema fantastico americano degli anni ’70. Ci si rapporta con cura alla tipologia di personaggi da lui portati sullo schermo, regalando anche alla fine del libro alcune mini-biografie degli interpreti, ai quali i diversi eroi (ed eroine) di Carpenter devono la scorza durissima e l’istinto di sopravvivenza con cui sono stati rappresentati. E tanto altro ancora…
Insomma, tutto nel saggio di Manieri appare variegato e ricco, mai però gratuito. E questo spinge a consigliarne vivamente la lettura, rimasta sapida e coinvolgente, anche a diversi anni dalla pubblicazione.