Le farfalle di Dona Musica

DAL LEGGENDARIO ODIN TEATRET, UN INTIMO RACCONTO SUL MESTIERE DELL’ATTORE

C’è un’accademia a Roma che si trova proprio dietro gli studi di Cinecittà. All’interno dell’accademia, c’è un teatro che per quattro giorni ha portato in scena Julia Varley, una delle più apprezzate attrici dell’Odin Teatret Nordisk Laboratorium, il teatro fondato e diretto dal maestro Eugenio Barba nel 1964.  Il teatro di cui sopra si chiama Eutheca e la direzione artistica ha ormai una consolidata collaborazione con questa compagnia di fama mondiale. L’Odin Teatret è “ricerca sperimentazione”, è confronto con le diverse culture attraverso l’arte. All’interno delle ricerca teatrale assume particolare rilevanza la pedagogia, soprattutto dall’esigenza di un approfondimento del lavoro dell’attore, ponendo un particolare accento sul momento del training.

E proprio al ruolo dell’attore erano dedicate le due dimostrazioni di lavoro e i due spettacoli in scena al Teatro Eutheca dal 6 al 9 marzo scorsi. Nel primo, “L’eco del silenzio”, si descrivono le peripezie della voce di un’attrice e gli stratagemmi che inventa per interpretare un testo. “Il fratello morto” ripercorre le tappe dell’attore che, a partire da un testo poetico, giunge alla messa in scena, quando il testo, attraverso la forma e la precisione delle azioni, acquista ritmi e densità di significati. Il 10 marzo era la volta di “Il Castello di Holstebro”, un onirico racconto su un castello invisibile reso visibile dallo spettacolo, un mondo che diventa sogno e il sogno che diventa mondo.

Lo spettacolo visto è stato “Le Farfalle di Doña Musica”, l’8 marzo. Julia Varley in scena, la regia di Eugenio Barba, le musiche di Jan Ferslev e Frans Winther. E’ la storia di un personaggio evaso da uno spettacolo – Kaosmos – che racconta le sue origini e le sue avventure con argomenti di entomologia teatrale, con teorie di fisica moderna e con poesie e racconti di mistici di altri tempi.

Sul fondo della scena c’è un tavolino pieno di oggetti e accanto una seggiola. L’atmosfera ricorda quella di un passato ormai lontano, anche grazie alle ghirlande di fiori posizionate per formare un cerchio sul palco. L’ingresso dell’attrice avviene al buio, con la voce prima profonda e poi soave con un gioco di alti e bassi che ricordano da vicino i racconti fiabeschi di una nonna.

Il tema ricorrente del racconto è il dialogo fra il personaggio e l’attrice, tra Julia e Doña Musica, ma anche tra il personaggio/attrice e il regista, che conduce alla ricerca del miglior ritmo e della migliore intonazione, alla semplicità del gesto e all’accuratezza del movimento. Suggestiva appare la metafora della farfalla e dell’attrice: il bruco si trasforma in crisalide e la crisalide in farfalla, ma c’è un attimo, un solo attimo, in cui si è due cose insieme (crisalide e farfalla allo stesso tempo)  o si è niente (né farfalla né crisalide). In ogni caso, la farfalla muore dopo un giorno, così come il personaggio muore dopo la messa in scena. Ed è questa trasformazione, questo destino che si vuole afferrare. Difatti, l’attrice si toglie in scena il trucco e il vestito, rimane solo l’attrice, mentre il personaggio muore. L’attrice esce di scena, resta lo “scheletro” del personaggio.

Doña Musica racconta come si costruisce un personaggio teatrale, lo fa con la forza della suggestione e dell’illusione, lo canta attraverso la sua voce e lo balla attraverso lo spazio che si schiude attorno a lei. Lo spettacolo appare come un grande attestato d’amore al mestiere dell’attore e al teatro in generale. Una grande attrice ha trasmesso questo attestato anche al pubblico accorso per l’occasione. E’ sembrato come se Julia Varley ci stesse raccontando la sua vita teatrale, una grande testimonianza al femminile (proprio nel giorno della festa della donna) che ricostruisce la creazione e l’evoluzione di uno dei suoi personaggio simbolo.

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