Mentre la guerra fratricida tra russi e ucraini si incarognisce ogni giorno di più, il pensiero torna nuovamente a un evento da noi seguito l’ultima settimana di marzo qui nella capitale, per la precisione all’Istituto Polacco di Roma. Una cornice colta e accogliente, che non manca mai di proporre appuntamenti artistici degni di nota. Con ancora esposte alle pareti le opere terrificanti e rivelatrici della mostra ???????????????????????????????????????????????? – ???????????????????????????? ???????? ???????????????????????????? ???????????????? | ???????????????? – ????????????????, ricordo in soggettiva degli anni tragici dell’occupazione nazista, il 29 marzo scorso questo istituto culturale che è da tempo uno dei più attivi dell’Urbe aveva infatti organizzato una serata di solidarietà per l’Ucraina, incentrata sulla proiezione di Mr. Jones (Polonia, Ucraina, Regno Unito, 2019), il film di Agnieszka Holland noto anche come L’ombra di Stalin. Occasione assai ghiotta, intanto, per chiunque come noialtri volesse riempire un eventuale buco nella vasta e interessantissima filmografia della cineasta polacca, così spesso attratta da drammatici fatti storici (vedi ad esempio Un prete da uccidere, Europa Europa e In Darkness) per le proprie narrazioni cinematografiche.
Nel caso di Mr. Jones la cornice storica è sufficiente da sola a spiegare l’urgenza narrativa e creativa avvertita dalla Holland. Ci si muove infatti a ridosso di una delle più grandi carneficine del Novecento, abilmente mascherata dalla propaganda di Stalin e della sua cerchia, che prese poi il nome di Holodomor. Vogliamo riportare per chiarezza qualche informazione a riguardo: ogni anno, il 23 novembre, si ricorda l’Holodomor, la carestia provocata dall’URSS di Stalin che colpì l’Ucraina tra il 1932 e il 1933, causando milioni di morti. Quella del 1932-1933 fu una tragedia così grande che gli ucraini inventarono per descriverla questa nuova parola che significa “sterminio per fame”, riferendosi per l’appunto alla morte di milioni di ucraini nelle campagne per queste politiche scellerate o per altre brutali azioni repressive.
Il plot del lungometraggio si sviluppa a partire dal 1933. Ne è protagonista Gareth Jones, giovane e ambizioso giornalista gallese che si è guadagnato la notorietà per essere stato il primo giornalista straniero a intervistare Hitler. Ecco in breve la sinossi: alla ricerca della sua prossima grande storia, Jones si concentra sull’utopia sovietica, chiedendosi come Stalin stia finanziando la rapida modernizzazione dell’Unione Sovietica. Decide allora di recarsi a Mosca. Nella capitale russa incontra una giornalista britannica che gli rivela come la storia del regime sia diversa da quella che viene raccontata. Apprendendo della carestia indotta dal governo, Gareth riesce a eludere le autorità e si reca clandestinamente in Ucraina, dove è testimone di una delle più grandi atrocità della storia: milioni di persone vengono lasciate morire di fame per rivendere il grano all’estero e finanziare con i ricavi l’impero sovietico. Tornato in patria, Gareth pubblica un articolo in cui rivela gli orrori a cui ha assistito, ma le sue denunce sono presto smentite dai colleghi occidentali di stanza a Mosca, costretti dalle pressioni esercitate dal Cremlino. Gareth si ritrova a dover lottare per la libertà quando la sua strada incrocia quella di un giovane autore di nome George Orwell col quale (sebbene pare che tale incontro, per quel che è dato sapere, nella realtà storica non abbia poi avuto luogo) intende condividere le sue scoperte…
Analizzando pregi e difetti, magari anche lievi, di tale opera, emerge intanto la funzionalità di una costruzione narrativa che fa del montaggio alternato uno strumento validissimo, per portare avanti simultaneamente due tracce: da un lato l’avventurosa, rischiosa detection condotta da Jones in terra sovietica, dall’altro la sconsolata ma necessaria presa di coscienza che porterà l’idealista Orwell a concepire “La fattoria degli animali”, veritiera allegoria delle ipocrisie, della violenza di fondo e degli altri irriducibili mali presenti nel comunismo sovietico.
Per il resto, non sempre la Holland riesce a modulare col giusto equilibrio il timbro della narrazione: certe soluzioni registiche un po’ barocche, ad effetto, tendono a minare la prima parte del film, specie durante un arrivo di Jones a Mosca condito di momenti lisergici talora effimeri, eccessivamente caricaturali.
Pur assumendo un taglio ancor più allucinatorio, il peregrinare di Jones (un eccellente James Norton, tra parentesi) nelle martoriate campagne dell’Ucraina crea invece un senso di solennità (amplificata, questa, da scelte di notevole impatto a livello di colonna sonora), straniamento e profonda empatia: in un paesaggio spettrale fotografato tramite tagli di luce da espressionismo tedesco, perdendosi tra i volti ghignanti della soldataglia sovietica, il protagonista assaporerà la più profonda disperazione degli abitanti lasciati a morire per strada, costretti a nutrirsi persino di cadaveri per sopravvivere, sottoposti a mille altre vessazioni con inaccettabile sadismo.
Al netto di qualche piccola imperfezione stilistica, quella che Agnieszka Holland ha realizzato è un’operazione cinematografica estremamente motivata, stratificata e sincera. Volendo toglierci invece un sassolino dalla scarpa, molto di meno (anzi, per niente) abbiamo apprezzato le sue uscite più recenti, allorché la regista polacca ha spinto per l’esclusione dei film russi dagli eventi festivalieri. Una presa di posizione gravissima e priva di giustificazioni: non è con la più retriva “cancel culture” che si esprime la solidarietà internazionale o che si risolvono i problemi di politica estera. Molto più sensata ed umana, tornando all’evento del 29 marzo, ci è parsa l’iniziativa dell’Istituto Polacco di Roma, che ha legato alla proiezione una raccolta fondi per il sostegno agli studenti ucraini di due scuole superiori di Lubaczów in Polonia. Cercate informazioni in rete ponendo in primo piano questa traccia, se vien voglia anche a voi di contribuire a una causa pacifica, onesta e di indubbia generosità!