NON E’ VERO MA CI CREDO – Peppino De Filippo
Produzione I due della città del sole
Regia Leo Muscato
Con Enzo Decaro, Roberto Fiorentino, Ingrid Sansone, Fabiana Russo, Gina Perna, Massimo Pagano, Carlo Di Maio, Giorgio Pinto, Ciro Ruoppo, Francesca Ciardiello
Scene Luigi Ferrigno
Costumi Chicca Ruocco
Disegno luci Pietro Sperduti
Teatro Parioli, Roma, dal 31 marzo al 10 aprile 2022
Parlando di Enzo Decaro difficile non ricordare i gloriosi fasti della Smorfia che negli anni ’70 tanto hanno divertito l’Italia, col nostro associato ad altri due giganti come Massimo Troisi e Lello Arena, ma ora parliamo di prodezze attualissime, nonostante si parli di un testo scritto nel 1942 dal grande Peppino De Filippo.
Qui raccoglie l’eredità di Luigi De Filippo, recentemente scomparso proprio mentre gestiva il Teatro Parioli, e con la sapiente regia di Leo Muscato rimette in scena la “tragicommedia” tanto cara a papà Peppino, quell’apoteosi di superstizione tanto cara alla tradizione napoletana.
Interpreta il commendator Gervasio Savastano, direttore di una efficiente società dall’imprecisata attività, che però ultimamente vede i propri affari andare a rotoli uno dopo l’altro. Basta una breve ricerca per scoprirne, a suo dire, la causa: trattasi di tutti gli affari conclusi da Belisario Malvurio (Massimo Pagano), al quale dunque si applica istantaneamente l’etichetta di iettatore e viene licenziato su due piedi, e anzi viene proibito in azienda il solo nominarlo, perchè il suo nome ha effetti devastanti anche nel clima, scatenando improvvisi temporali.
Mattatore assoluto Enzo Decaro, col suo repertorio di riti e oggetti scaramantici che continuamente tira fuori dai cassetti, ma anche tutti gli altri intepreti, macchiettistici al punto giusto grazie all’abile regia di Leo Muscato, danno allo spettacolo tutti i crismi della commedia popolare napoletana: la sempre distratta signorina Mazzarella (Francesca Ciardiello), il ragionier Spirito (Carlo Di Maio), che a fatica digerisce le superstizioni del capo, lui che bada per mestiere soltanto ai numeri, e lo stesso vale per l’avvocato Donati (Giorgio Pinto), che invece bada agli articoli e ai codici. Ma anche “‘o guardaporte” Musciello (Ciro Ruoppo), perennemente impegnato, su incarico del capo, nella caccia al gatto nero condominiale, riteuto ovviamente portatore di sciagura, esilarante nei suoi tentativi di accontentare il commendatore con un gatto “di riserva” perchè l’originale non si fa acchiappare.
L’elemento che sembra sparigliare il tavolo è l’arrivo di un giovanotto in cerca di assunzione, Alberto Sammaria (Roberto Fiorentino), che si presenta con un’evidente gobba, che tutti cercano di andare a toccare senza darlo a vedere, e viene istantaneamente assunto. Gli altri aspiranti vengono scartati a prescindere, e anzi lo stipendio mensile di Sammaria lievita di minuto in minuto. Come se il mondo andasse alla rovescia, lo stimato direttore d’azienda riempie di attenzioni e di ossequi il neoassunto, e qui Decaro dà il meglio di sè, interpretando ogni minimo accadimento, anche il più banale, attraverso il “regolamento” che consulta costantemente per capire come meglio assecondare la buona sorte. E l’arrivo di Sammaria gli sembra proprio un segno del destino, perchè gli affari rifioriscono e l’azienda ricomincia ad andare a gonfie vele.
Naturalmente è tutto troppo bello per essere vero, e gli imprevisti sono in agguato, soprattutto quando l’azione si sposta a casa di Savastano, altro ambiente in cui le sue superstizioni sono tollerate con molta fatica: è qui che entrano in scena le donne di casa Savastano, un’apoteosi di verace napoletanità. La moglie Teresa (Ingrid Sansone), un fiume in piena quando deve rimbrottare il marito, la figlia Rosina (Fabiana Russo), giovane esuberante ma rispettosa, e la sorella Concetta (Gina Perna), svampita e dalla comicità corporea prorompente.
Le scene di Luigi Ferrigno e il disegno luci di Pietro Sperduti accompagnano perfettamente il tutto, per esempio con nuvole e tuoni che vanno e vengono a seconda della presenza di elementi negativi, così come i costumi di Chicca Ruocco, sempre ben adeguati alla circostanza.
Buona l’idea dell’anticamera dell’ufficio visibile attraverso una tendina trasparente, che poi fa anche da scena per alcune divertenti coreografie nel finale.
Tutti bravissimi con un mattatore assoluto come Decaro. Non potendo riesumare La Smorfia, teniamocelo stretto così com’è e guai a chi ce lo tocca!
Alessandro Tozzi